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LA QUERELLE

Pane di Altamura Dop o non Dop? Con la modifica del disciplinare questo è il dilemma

In Puglia ormai difficile distinguere pane artigianale e industriale. Con l’ombra lunga di un conflitto di interessi e di scarsi controlli
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Pane di Altamura Dop o non Dop? Questo è il dilemma

Il disciplinare è la norma di legge che definisce i requisiti produttivi e commerciali di un prodotto alimentare, in primis le Dop-Denominazioni di origine protetta. Ma se quel disciplinare viene modificato, anche se temporaneamente, cosa resta di quella Dop? È ciò che si stanno chiedendo ad Altamura, in Puglia, (ma non solo) comune di 70.000 abitanti in provincia di Bari, nota per essere la “Città del Pane” e terra del Pane Dop di Altamura, dove “terra” non è un termine casuale: per realizzare la Dop, infatti, come recita il disciplinare, il pane deve essere ottenuto mediante l’antico sistema di lavorazione con lievito madre o pasta acida, sale marino, acqua e l’impiego di semole rimacinate delle varietà di grano duro Appulo, Arcangelo, Simeto da sole e Duilio, che a loro volta devono essere coltivate nei territori della Murgia Nordoccidentale, tra Altamura, Gravina in Puglia, Poggiorsini, Spinazzola e Minervino Murge.
Un modo di procedere molto preciso dunque - che nel 2023 ha portato alla produzione di 561 tonnellate di pane - e teso tra i vari motivi anche a rimarcare l’eccezionalità del prodotto alimentare senza rischiare di confonderlo o scambiarlo per un pane “simile” o “del tipo”: quello Dop di Altamura, inoltre, è stato il primo in Europa ad aver ricevuto questo riconoscimento nel 2003 (gli altri due Dop italiani sono il Pane toscano e il siciliano Pane del Dittaino, ndr). Non solo: il disciplinare spiega anche come, per quei grani in quell’area geografica, devono essere utilizzate macchine in grado di rompere “le cellule dello strato aleuronico” del chicco di grano (il sottile strato di cellule tra la parte esterna e la parte interna) “che permette di impregnare la semola rimacinata del prezioso olio di germe”. E che il lievito madre ha bisogno per riposare e crescere di almeno sei ore e la lavorazione deve essere manuale. Tempo e manualità che sono fattori incompatibili con la produzione industriale.
Ma cosa è successo? È successo che a febbraio, in pochi giorni, la Regione Puglia e il Ministero dell’Agricoltura hanno modificato “temporaneamente” il disciplinare Dop del Pane di Altamura abrogando le quattro varietà di grano dal quale deve essere ottenuto per due motivazioni principali: il fatto che la siccità ne abbia dimezzato la produzione e che la quantità di grano di quelle varietà non consentirebbe di certificare “abbastanza” pane Dop. Ma alcuni lo hanno visto come un controsenso: un prodotto artigianale viene fatto in base alla disponibilità e senza riferimenti alla quantità, altrimenti diventerebbe un prodotto industriale di minore identità. Esattamente ciò che starebbe accadendo ad Altamura da qualche mese: ovvero, tra tutti questi Pani Dop di Altamura qual è quello “vero”? Al momento tutti verrebbe da dire, ma allo stesso tempo vale anche “nessuno” come risposta. Con tutte le ripercussioni a livello commerciale e reputazionale.
Il Corriere della Sera spiega come la richiesta di modifica del disciplinare sia stata avanzata dal Consorzio di Tutela e Valorizzazione del Pane Dop di Altamura “ormai solo nominalmente composto da appena una decina di soci” e presieduto da Lucia Forte, ad Oropan, la più grande industria panificatrice del luogo (47 milioni di fatturato annuo, ndr). Un ruolo, quello di presidente, che tra l’altro secondo lo statuto del Consorzio medesimo sarebbe incompatibile in quanto la Forte è una imprenditrice commerciale (fa pane industriale) e non una panificatrice artigiana. E la cui “ombra lunga del conflitto di interessi”, scrive il Corriere, si trova all’interno del “radioso orizzonte di una frode culturale, alimentare e commerciale “legalizzata”, sia per l’uso del marchio Dop, sia per la indistinzione tra pane fresco e artigianale e pane industriale”. Anche i controlli nella filiera secondo il quotidiano milanese non sarebbero così celeri: sono i panifici stessi a comunicare al garante quanto pane Dop hanno prodotto e i mulini stessi forniscono il campione di grano che sarà analizzato. Solo il seme, fornito agli agricoltori dall’Ense (Ente nazionale sementi elette, non ogm), sarebbe l’unico elemento della filiera effettivamente controllato.

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