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Panorama

Alla guerra del vino … È una “guerra” di frontiera, combattuta in trincee dorate, le vigne, tra America, Francia e l’Italia che rischia però di diventare terra di conquista. Il casus belli sono i dazi pretesi dall’amministrazione Trump come ritorsione sugli aiuti europei ad Airbus, gli effetti collaterali sono un'impennata delle quotazioni delle vigne nelle zone di pregio e una sorta di corsa all’accaparramento delle bottiglie più blasonate col rischio concretissimo che esploda da qui a qualche settimana la bolla speculativa - nei mesi estivi dagli Usa c’è stata un’impennata di importazione delle etichette italiane - e che le quotazioni e la domanda del vino italiano così come si sono salite precipitino con un gran rumore di bottiglie rotte e di bilanci in rosso. Quello potrebbe essere il momento buono per gli “eserciti” avversari per scatenare l'offensiva a suon di milioni di euro. Tre in particolare sono le aree in odore di conquista dove le vigne sono lievitate tantissimo di prezzo: Barolo in Piemonte, dove ormai non si compra a meno di 1,2 milioni a ettaro; Bolgheri-Castagneto nella prima Maremma livornese, dove non bastano 600 mila euro per un ettaro, e soprattutto Montalcino, nella provincia più blasonata per il vino e cioè Siena, che continua a produrre, col Brunello, il vino “mediamente” più caro d’Italia. Qui i prezzi non son neppure registrabili perché in vendita ci sono poche proprietà e la domanda straniera è massiccia. Ma si può pensare che le quotazioni stiano intorno al milione a ettaro. Chi c'è in campo in attesa di comprare? Prima di tutto i francesi. È una sorta di “derivato” quello che i transalpini vogliono giocarsi. I loro vini sono già stati colpiti dai dazi, ma per le bottiglie di superlusso l’incidenza sulla flessione di domanda è inesistente. E tuttavia se i dazi colpiscono duramente l’Italia loro possono comprare bene le cantine nostre, se i dazi ci risparmiano loro possono vendere il vino italiano rientrando dai “danni” subiti col rialzo dei dazi a loro carico. In più hanno la possibilità di controllare il primo avversario: il vino italiano, appunto. In campo c’è il re del lusso Bernard Arnault che sta sondando possibilità in Chianti e a Montalcino. Lvmh del resto è già una superpotenza delle bottiglie (da Yquem a Dom Perignon, da Bodegas Chandon a Krug solo per citarne alcuni), e se ha smentito di volersi comprare il Milan c’è chi dice che il vino italiano gli interessi molto. Sicuramente stanno preparando un altro colpo a Montalcino i signori dello champagne: la famiglia Descours. Si sono comprati Il Greppo di Biondi Santi - come dire l’origine del Brunello - tre anni fa pagando una cifra tra i 200 e i 300 milioni, ma ora hanno messo nel mirino altre proprietà. Si parla con insistenza di un'imminente vendita della Cantina sociale di Montalcino che non ha vigna, ma che è un marchio molto appetibile: la trattativa è sui 20 milioni di euro. Chi sta invece puntando sia su Bolgheri che sul Piemonte è Francois Pinault (nel vino tra le tante cantine possiede Latour) che dicono abbia fatto sondaggi per una casa storica del Barolo. Dopo i francesi ecco gli americani pronti a comprare con i fondi d’investimento. A Montalcino sbarcarono per primi i Mariani che con Castello Banfi, ora guidata da Cristina Mariani May, hanno costruito il mercato del Brunello negli Usa, ma il gruppo Krause dopo aver comprato La Vieni a Barolo sta cercando nuovi affari in Piemonte, come del resto Atlas Invest. Il fondo belga guidato da Marcel Van Poeck dopo l’acquisto perfezionato a Montalcino di Poggio Antico sta trattando altre vigne per allargare la produzione. E c’è il tycoon brasiliano Alejandro Bulgheroni già proprietario di cinque cantine in Toscana che ha un nuovo progetto d'investimento a Bolgheri dove sta costruendo una nuova cantina in una cava dismessa. Anche i cinesi - in particolare Jack Ma (Alibaba) e Li Zefu (Cofco Greatwall Winery), che finora hanno investito soprattutto in Francia, sono interessati all’Italia per fare triangolazioni: comprare qui per vendere negli Usa se la pace con Trump sui loro dazi reggerà. Peraltro il vino italiano in Cina è ancora una cenerentola e le possibilità di espansione sono enormi. Ovviamente questo “Monopoli delle vigne” riguarda solo le cantine di maggior prestigio e maggior valore aggiunto perché invece la guerra dei dazi rischia di far saltare per aria i vini di fascia media e bassa. C’è da tremare perché gli Stati Uniti sono il primo mercato di esportazione delle nostre etichette, un mercato peraltro in continua costante crescita da venti anni a questa parte e che vale - dati dei primi nove mesi del 2019 - 1,7 miliardi con un incremento rispetto al 2018 del 5 per cento. Il valore dei dazi potrebbe sfiorare i 200 milioni di euro e questo metterebbe fuori mercato tutti i vini di prezzo modesto. In particolare c’è preoccupazione per gli sparkling, gli spumanti col Prosecco che dopo il boom di questi anni potrebbe avere una brusca frenata a vantaggio del “Prosecco” brasiliano. E l’Europa non fa nulla per difendere le nostre produzioni così come per ora non si è sentito dal ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova un impegno solido per cercare di arginare la faccenda dei dazi. Che la situazione non sia rosea lo dimostra il presidente di Federvini Sandro Boscaini, proprietario del gruppo Masi Agricola, il primo italiano a quotarsi in Borsa. “C’è di che preoccuparsi. Abbiamo la Brexit, la guerra dei dazi, abbiamo Argentina, Brasile e Cile pronti a sostituirci sul mercato americano. I dati sull’export ci dicono che siamo andati bene, ma c’è il sospetto che la domanda si sia molto gonfiata per fare scorte prima che scattino i dazi. In più oggi abbiamo possibili ulteriori ritorsioni dopo l’applicazione della digital tax da parte di alcuni Paesi europei. È un momento molto difficile”. Preoccupata è anche l’Unione italiana vini che con il presidente Ernesto Abbona, “barolista” da generazioni, ha avviato una massiccia campagna negli Usa di moral suasion per evitare che i dazi colpiscano il nostro vino. Ha cercato di stringere un'alleanza con gli importatori americani, anche loro preoccupati. Ma la conseguenza più rilevante è lo shopping che i capitali stranieri s’apprestano a fare in Italia. Alessandro Regoli, direttore del sito Winenews. it che da Montalcino monitora da sempre gli andamenti economici del vino italiano lo conferma: “È indubbio che ci siano molti interessati a comprare a Montalcino, in Toscana e in Piemonte. A Montalcino la straordinaria qualità delle annate che stanno per andare in commercio diventa un'ulteriore spinta e sappiamo che sono molte le trattative in corso. Lo confermano anche tutti i maggiori operatori italiani a cominciare da Lorenzo Tersi di Lt wine & food advisor che a noi di Winenews ha detto chiaramente che c’è un grande interesse da parte di player nazionali e internazionali, inclusi i francesi, a mettere radici nel territorio attraverso l’acquisizione di cantine o l’ingresso nel capitale della proprietà di realtà grandi e piccole”. Così nel vino la guerra dei dazi potrebbe diventare una campagna coloniale.

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