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PARMALAT, IL CONSIGLIO DEI MINISTRI VARA IL DECRETO “ANTI-OPA”, CHE CONSENTE DI SPOSTARE ENTRO FINE GIUGNO LE ASSEMBLEE SUL RINNOVO DEGLI ORGANI SOCIALI. BASTERÀ A CONVINCERE FERRERO O ALTRI A SCONTRARSI CON LACTALIS, ORMAI AL 29% DEL GRUPPO?

Il gruppo francese Lactalis è ormai proprietario di Parmalat al 29%, appena sotto la soglia per lanciare un’offerta pubblica di acquisto, e mentre tutti invocano una cordata italiana per mantenere nel Belpaese la proprietà del gruppo di Collecchio, il Consiglio dei Ministri ha varato oggi il decreto legge “anti-Opa”, che consente alle società quotate di spostare entro fine giugno le assemblee di bilancio e sul rinnovo degli organi sociali. Basterà convincere Ferrero o chi per lui a scontrarsi con il colosso francese? Intanto arrivano i commenti delle organizzazioni di categoria.
“Si chiudono le stalle dopo che i buoi sono scappati. Ma meglio tardi che mai”. Così il presidente della Cia - Confederazione italiana agricoltori Giuseppe Politi. “Non sappiamo se questo provvedimento del governo potrà rimettere in gioco la vicenda Parmalat alle prese con la scalata dei francesi di Lactalis. Era, tuttavia, indispensabile intervenire. E questo vale in particolare per il settore agroalimentare, dove ormai si parla sempre meno italiano. Comunque, da qui a dire che il decreto potrà sbarrare la strada allo straniero conquistatore ce ne vuole. Bisogna attendere e soprattutto vigilare. La nostra posizione sul caso Parmalat non è legata a logiche protezionistiche, ma solo all’esigenza di tutelare e valorizzare l’agroalimentare made in Italy e, quindi, i nostri produttori agricoli che devono avere le opportune certezze, specialmente in un momento in cui le difficoltà crescono e rendono complicata l’attività imprenditoriale. Purtroppo, in questi ultimi anni abbiamo assistito a continue scalate nel settore e questo ha avuto effetti non marginali sull’agricoltura. Nessuno si è mai curato dell’esigenza di salvaguardare un sistema che da tempo ha assunto un ruolo strategico nell’apparato economico e finanziario del Paese. Si è lasciato fare. Non ci sono state azioni adeguate. Solo oggi e con colpevole e grave ritardo ci si accorge delle conseguenze che una non politica agroalimentare sta causando. A questo punto nostro auspicio è che la Parmalat, dopo un faticoso risanamento, possa restare in mani italiane. Vediamo se il decreto è in grado di produrre frutti positivi. In questo modo si possono dare reali garanzie ai nostri allevatori che hanno rapporti contrattuali con il gruppo di Collecchio, specie in una fase congiunturale in cui le imprese zootecniche fanno i conti con complessi problemi, a cominciare da onerosi costi produttivi e da prezzi non certo remunerativi”. Sulla stessa linea anche Coopagri.
“Nella vicenda Parmalat é prioritario un progetto industriale che valorizzi il latte e la zootecnia italiana e si impegni su un made in Italy che oltre al marchio contenga materie prime nazionali - rilancia Coldiretti - perché il 33% della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati deriva da materie prime agricole straniere, trasformate e vendute con il marchio Made in Italy”. È il dato che l’organizzazione guidata da Sergio Marini anticipa dal rapporto Coldiretti/Eurispes. “Il fatturato del made in Italy realizzato con prodotti agricoli stranieri è stimato in 51 miliardi e riguarda sugli scaffali - sottolinea la Coldiretti - due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta, oltre un terzo della pasta ottenuta da grano che non è stato coltivato in Italia all'insaputa dei consumatori, e la metà delle mozzarelle che sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere”.

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