C’era una volta il gin, oggi ci sono “i” gin: centinaia di versioni diverse, semplici o customizzate, ma tutte nel segno dell’eccellenza made in Italy. Potremmo sintetizzare così, prendendo ad esempio la punta di diamante del settore, il vero e proprio boom che sta vivendo il mondo dei distillati nel nostro Paese, che vede proliferare, da nord a sud, una miriade di piccole realtà artigianali (+20% le nuove aperture dopo la pandemia). E, dopo “Spirito Autoctono”, la guida dedicata al mondo dei liquori, edita dal Touring Club (esce a marzo 2023), torna, per il secondo anno, Distillo Expo, la prima fiera italiana delle piccole distillerie, a Milano, il 16 e 17 maggio.
A trainare il boom, che riguarda soprattutto progetti di microdistillerie, è il fenomeno del conto terzi, in larga parte legato alla cosiddetta “gin craze”, una passione che oggi ha portato alla presenza di circa un migliaio di etichette made in Italy, destinate a raddoppiare nei prossimi anni. Sono quasi un centinaio le distillerie attive oggi in Italia, per una produzione che - rispetto a quella di Paesi come UK (Scozia, nello specifico), Irlanda e Usa - rimangono molto contenute. Prima della pandemia erano 85 le distillerie attive nel nostro Paese, con produzioni che comprendevano principalmente grappa, brandy e gin. Per il 10% si tratta di aziende artigianali e storiche, spesso alla sesta-settima generazione di distillatori, mentre un altro 10% sono produttori industriali, che non si occupano solo di alcol per uso alimentare. La restante parte comprende aziende medio-grandi e medio piccole e in generale tutte sono riuscite, contenendo i costi e bloccando le produzioni, a resistere al colpo della crisi. A questi numeri si aggiungono oggi 20 nuovi progetti nati durante la pandemia, di cui la metà è già operativa e l’altra metà lo sarà nei prossimi mesi, che fanno segnare al comparto distillatorio italiano circa +23% nell’avvio di nuove attività. A trainare la crescita è soprattutto l’obiettivo della distillazione in conto terzi per la produzione di etichette private label, su cui le realtà emergenti orientano i due terzi della propria previsione di produzione. A spingere il fenomeno è soprattutto il gin, che negli ultimi anni ha visto crescere la propria popolarità come ingrediente in mixology (dal semplice gin tonic ai cocktail più complessi), ma anche come prodotto in grado di farsi portavoce, attraverso la scelta delle botaniche, di uno storytelling territoriale.
Francesco Bruno Fadda, direttore della guida “Spirito Autoctono” spiega: “l’Italia continua a scrivere pagine importanti nel settore dei distillati e il fenomeno in crescita delle microdistillerie testimonia un’attenzione crescente che attrae soprattutto il mondo dei giovani. Per quanto riguarda il gin - prosegue - si assiste sempre più al consolidamento di quello che noi chiamiamo “metodo italiano”, che trae le proprie caratteristiche dall’esperienza dei nostri distillatori e dall’ampia varietà di botaniche, già valorizzata dalla creatività e dalla ricchezza della nostra cultura gastronomica”. I distillati, i liquori e gli amari sono pezzi di storia del buon bere italiano che, ormai da qualche tempo, stanno attraversando un entusiastico Rinascimento. Nella guida “Spirito Autoctono” si ricerca proprio quel rapporto speciale e autentico che i prodotti e le materie prime hanno con la storia e il genius loci: dalla grappa al gin, passando per gli amari, i bitter, i vermouth e i liquori della tradizione c’è l’imbarazzo della scelta, tra i marchi più antichi e le nuove start-up.
Attualmente sono un migliaio le etichette di gin italiano, di cui si stima il 90% prodotte in conto terzi, con la quasi totalità del volume di gin prodotto da due delle principali aziende di distillazione nazionali. E il distillato di ginepro incide per un 80% sul totale della produzione in conto terzi delle distillerie ad accisa assolta, il 10% riguarda acquaviti e vodka, mentre la percentuale restante liquori e amari. “Il gin è letteralmente esploso - dice Claudio Riva, co-fondatore Distillo Expo - e le etichette raddoppieranno. Se da una parte la nascita di nuove distillerie porta in Italia nuove competenze, dall’altro l’investimento sul conto terzi penalizza la nascita di nuovi brand artigianali, che sottraggono tempo e ricerche alle proprie produzioni e alla commercializzazione”. E, muovendo da questa considerazione, Riva ipotizza in Italia 200 nuove distillerie entro il 2030. Forte di queste proiezioni, Distillo Expo 2023 raddoppia gli spazi e prevede di crescere anche negli ingressi.
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