La motivazione ufficiale è che si tratta di investimenti che non hanno ritorni economici, anche se vengono ammesse, più o meno apertamente, pressioni da parte di politica, consumatori e attivisti di destra: fatto sta che Brown-Forman Corp, la società proprietaria di Jack Daniel’s, uno dei whisky più noti degli Stati Uniti, fa marcia indietro sui suoi programmi relativi a gender ed inclusione. Prima di Jack Daniel’s anche John Deere e Tractor Supply, noti marchi di trattori, e l’iconico brand di moto Harley Davidson, hanno annunciato la fine delle loro politiche basate sui diritti delle minoranze. Segnali isolati che, se messi insieme, tracciano una tendenza, e sono il risultato delle pressioni di una certa destra conservatrice americana (particolarmente attiva negli ultimi mesi in vista delle elezioni presidenziali di novembre) e di un target di consumatori costituito da maschi bianchi, poco interessati, se non apertamente ostili, alle cause woke, che minacciano boicottaggi sugli acquisti.
I dipendenti di Jack Daniel’s hanno ricevuto una lettera, poi condivisa sui social dell’azienda, in cui si specifica che gli obiettivi futuri saranno legati alle performance aziendali, e non alle politiche di inclusione. Addio dunque a tutte quelle attività che gli americani chiamano Dei (Diversity, equity, inclusion), che negli ultimi anni sono diventate obbligatorie, o quasi, per le principali aziende, particolarmente attente a tutelare le minoranze e le diversità (di sesso, colore della pelle, orientamento sessuale) tra i propri dipendenti, e che comprendono uffici e dipartimenti dedicati, corsi interni di formazione e sensibilizzazione, donazioni e certificazioni.
Un approccio che negli Stati Uniti appare difficile da sradicare, anche se sono sempre di più gli attivisti di destra (come Robby Starbuck, uno dei più noti) che sostengono come i programmi di diversità penalizzino gli uomini bianchi ed eterosessuali, anche quando sono candidati migliori. Eppure, secondo uno uno studio della società di consulenza McKinsey, che ha analizzato oltre 1.200 imprese in tutto il mondo, il 39% di quelle che puntano su diversity e inclusione hanno risultati migliori delle altre.
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