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VINO E TERRITORIO

“Querelle Aglianico”, la lettura di Confagricoltura Avellino: “la filiera non è in difficoltà”

L’organizzazione agricola: “la crisi di vendite, pur potendo interessare singole aziende, non è un fenomeno collettivo”
AGLIANICO, Confagricoltura, IRPINIA, vino, Italia
Filari di Aglianico in Irpinia

Continua a tenere banco, in Irpinia, la vicenda partita dall’allarme della Cia-Agricoltori Italiani sulle commesse disdette per le uve Aglianico per 130 viticoltori della zona di Paternopoli ad inizio agosto, soprattutto da parte di una grande azienda, come Nativ, sostanzialmente per ragioni di mercato, come spiegato dallo stesso imprenditore, Mario Ercolino. E, dopo le precisazioni del Consorzio dei Vini di Irpinia, secondo cui i numeri sono molto inferiori ai 25.000 quintali di uve ipotizzati dalla Cia-Agricoltori, a dare la sua lettura, ora, è anche la Confagricoltura Avellino.
“Negli ultimi giorni sono apparsi sui giornali e sui social articoli e notizie sulla situazione della viticoltura irpina che inducono ad attente riflessioni, al fine soprattutto di confutare la rappresentazione di una situazione di crisi delle vendite nel comparto - sottolinea l’organizzazione delle imprese agricole - che non risulta sicuramente un fenomeno collettivo, pur potendo interessare singole aziende, e conseguentemente evitare che il brand dei vini irpini venga percepito come una filiera in difficoltà. Confagricoltura Avellino, a seguito di una puntuale verifica tra gli operatori del settore, ha rilevato che rispetto ad una ipotetica crisi generale dei vini d’Irpinia, come improvvidamente ipotizzata negli articoli prima richiamati, vi sono “imprenditori” che stanno avendo successo sui mercati con tutte le denominazioni della provincia di Avellino”. Ancora, aggiunge Confagricoltura, “rispetto ad affermazioni sicuramente non ponderate che i vini della Docg Taurasi e della Docg Fiano di Avellino non si vendano, ci sono esemplari della gamma del Taurasi e del Fiano di Avellino riconosciuti internazionalmente come ambasciatori dell’enologia italiana nel mondo”.
Poi, un richiamo alla moderazione, anche all’interno della filiera del vino irpino, perchè “è necessario che tutti, soprattutto chi riveste ruoli di aggregazione nella filiera, si preoccupino di preservare il valore degli investimenti della medesima in una prospettiva di lungo termine, soprattutto a salvaguardia di quelle imprese che quotidianamente sui mercati difendono il valore dei loro prodotti e della loro terra. Sarebbe intollerabile screditare una intera categoria di imprenditori seri del vino irpino. Se è vero che alcune produzioni di uve trovano oggi difficoltà di collocamento - continua ancora la Confagricoltura Avellino - va precisato che molte di esse precedentemente non erano destinate alla produzione di vini a denominazione d’origine, essendo, malgrado il pregio, finite in canali di prodotti generici e a basso prezzo. D’altronde basta leggere i dati ufficiali di produzione delle nostre Docg per aver evidenza del fatto che quegli enormi volumi non sono rientrati neppure in passato nei circuiti dei vini di maggiore qualità”. Ancora, poi, arriva una sollecitazione a lavorare per valorizzare il vino attraverso il territorio, “ non è replicabile”, più che tramite il vitigno, lavorando sul prodotto imbottigliato e non tanto sullo sfuso, perchè “queste forme di commercializzazione si caratterizzano per prezzi molto più bassi, tali da non consentire la remunerazione dei costi di produzione, considerata l’orografia dei suoli irpini”. E questo, ovviamente, si ripercuoterebbe negativamente su valori di uve, vigne e terreni. Ma Confagricoltura, indirettamente, sembra rispondere alle dichiarazioni dello stesso Ercolino, che aveva sollevato il tema del tempo di invecchiamento per il Taurasi prima di poter andare sul mercato, sia per una questione di costi, che per una questione di cambiamento nei gusti dei consumatori, sempre più orientati a vini più freschi e leggeri.
“Anche rispetto ai disciplinari - aggiunge, infatti, Confagricoltura Avellino - teniamo a ribadire che la credibilità di una denominazione di origine è da sempre fondata sul rigore del suo disciplinare. Se un grande rosso da invecchiamento come il Taurasi venisse presentato sul mercato senza un periodo minimo di tre anni di invecchiamento diverrebbe un vino comune, con ulteriore depauperamento del suo valore percepito. Se un Taurasi dovesse andare sui mercati dopo solo due anni di cantina, non avrebbe neppure la maturità e l’equilibrio necessari a confrontarsi con gli altri vini rossi di pregio”. E questo, secondo Confagricoltura Avellino, emerge anche dal fatto che alcuni dei produttori “più attenti alla valorizzazione dei prodotti” tengano in affinamento lo stesso Taurasi anche più tempo del minimo previsto dal disciplinare.
“Va scongiurato qualsiasi infausto tentativo di smantellamento di tutti i drivers di creazione del valore dei vini di pregio. Nessun intervento emergenziale - conclude Confagricoltura - può fornire contributi concreti ad una filiera così complessa. È necessario pianificare lo sviluppo avendo chiare in mente le opzioni di posizionamento praticabili, che, come più sopra evidenziato, nel caso della filiera irpina sono ben delimitate dalle caratteristiche del territorio, inadatto a competere su forme di coltivazione massificate. In conclusione, nessuna scorciatoia può produrre risultati lusinghieri a lungo termine: le proposte praticabili per la prosecuzione del cammino di sviluppo dei pregiati vini d’Irpinia non possono prescindere dal tema del valore della bottiglia, del rigore dei disciplinari di produzione, del posizionamento di pregio, di una graduale crescita della presenza nei canali a più elevato rendimento”.

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