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Quotidiano Nazionale

L’export fa volare i vini italiani “Puntiamo su mercati emergenti e nostri prodotti di fascia alta … Erano 53-55 milioni di ettolitri nel 2018 (+31% su base annua), di cui quasi 20 milioni indirizzati verso i mercati esteri. Saranno probabilmente (secondo la stima congiunta di Unione Italiana Vini, Ismea e Assoenologi) milioni di ettolitri (-16% su base annua) nel 2019. Resteremo comunque leader mondiali nella produzione di vino, anche perché i diretti competitor (Francia e Spagna) caleranno pure loro. Primi produttori, secondo esportatori (in valore) dietro la Francia con 6,2 miliardi di euro (i francesi stanno tra gli 8,5 e i 9 miliardi). Il boom del vino italiano si chiama export, perché mai tutto quello che produciamo potremmo bercelo in quanto i consumi sono calanti da anni. L’export nell’ultimo decennio è cresciuto in valore del 70% (solo nel 2018 ha fatto + 3,3% anno su anno). A trainare le esportazioni del settore lo scorso anno - dice Ismea - sono stati i vini Dop con un aumento del 13% in volume e del 12% in valore, a fronte di una battuta d’arresto degli Igp (-23% le quantità e -15% il giro d’affari), e di volumi inferiori per i vini comuni (-22%). Anche sul fronte dei consumi interni, i vini e soprattutto gli spumanti fanno registrare un andamento positivo, essendo stati tra i pochi prodotti che hanno mostrato, nei 2018, un deciso segno più negli acquisti delle famiglie: + 5,4% gli spumanti e+ 4,6% i vini fermi. Il vino italiano è già leader in molti mercati del mondo, ma questo non vuol dire che non si possa crescere ancora, e tanto. Basti pensare che anche nei mercati più evoluti, neppure un consumatore regolare su due beve vini tricolore. Ad esempio negli Usa- nostro primo mercato extra Ue - solo il 36% dei bevitori regolari consuma vini italiani, che sono comunque i preferiti dopo quelli della California, mentre in Germania, altro nostro pilastro, a bere etichette italiane è il 47% dei consumatori di vino, secondo una analisi di Wine Intelligence rilanciata da Winenews. In Cina a bere vino italiano è solo il 21% dei consumatori, in Australia il 19%. Al record dell’export si appaia adesso quello del surplus commerciale di settore (cioè la differenza fra import ed export) che quest’anno dovrebbe superare per la prima volta i 6 miliardi di euro. E questo nono-stante nel primo semestre dell’anno la crescita dell’export sia meno brillante che in passato e il prezzo medio registri un calo significativo, specie nell’area Ue. E l’ultimo aggiornamento sul mercato del vino dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor. Volano le vendite nei Paesi terzi oggetto di trattati di libero scambio (Giappone, Canada, Corea del Sud), mentre l’incrementa negli Usa è inferiore rispetto alla media del mercato e in Cina si affacciano gli sparkling, unica tipologia segnalata in crescita nel Dragone. “Il saldo commerciale del vino — commenta il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani — è quello che presenta la maggior incidenza positiva rispetto a tutti i comparti del made in Italy. Un record che va salvaguardato puntando ancora di più sui mercati esteri emergenti e sulla crescita della fascia premium”. Unica ombra su questo nuovo record il calo del prezzo medio all’export sceso a livello globale del 5,1% sul pari periodo dello scorso anno, con punte quasi dell’8 per cento per l’area comunitaria. Giù tutte le principali piazze europee, in primis la top buyer Germania la cui quotazione media si è fermata a 1,9 euro/litro. Nel complesso, il vino italiano nel mondo (sfuso compreso) è venduto in media a 2,9 euro/litro, nell’Ue a 2,3 euro. “Un campanello di allarme — aggiunge Mantovani —che saremo in grado di silenziare solo attraverso la crescita delle dinamiche di business. I presidi ormai stabili di Vinitaly nei Paesi chiave dovranno servire anche a questo”.

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