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GUERRA

Russia e Ucraina valgono il 6% delle esportazioni di vino italiano: un’economia a rischio

Denis Pantini (Nomisma): “in pericolo il 20% dell’export dell’Asti, per il Prosecco invece quota inferiore al 5%”
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L’impatto della guerra in Ucraina sull’economia del vino italiano

Nel 2021 la Russia ha importato dal Belpaese qualcosa come 350 milioni di euro di vino. Ben più dei 149 milioni di euro di spedizioni dirette fotografati dai dati Istat sul commercio estero. Sono milioni, infatti, le bottiglie che arrivano dai porti di Rotterdam ed Anversa, ma anche dalla Lettonia e dalla Lituania, come raccontano i dati del Wine Monitor di Nomisma, per una crescita del +18% sul 2020, che fanno dell’Italia il primo fornitore di vino di Mosca. Anche l’Ucraina, con un import arrivato a 55,5 milioni di euro, ha chiuso l’anno in crescita: +30,2%, e addirittura +200% negli ultimi cinque anni. Due Paesi che, insieme, per l’Italia valgono il 6% delle esportazioni complessive di vino, che hanno toccato i 7,1 miliardi di euro, una quota che con la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina è destinata a scomparire.
Le sanzioni dell’Europa, e quindi dell’Italia, su Mosca saranno durissime, molto più stringenti di quelle decise nel 2014, e non risparmieranno quasi nulla, neanche il vino, compreso quello di Francia (217 milioni di euro il valore dell’export 2021) e Spagna (146 milioni di euro di spedizioni nel 2021). L’Ucraina, invece, dopo 16 giorni di bombardamenti, è un Paese devastato, da ricostruire, che avrà bisogno di anni per tornare ad una parvenza di normalità, politica, sociale ed economica.

“Al di là degli impatti aggregati, i danni più consistenti legati a questa tragica guerra sono riconducibili ad alcune denominazioni e categorie di vini italiani. Nel caso dell’Asti Spumante parliamo della potenziale perdita di un quarto del proprio export, così come del 20% delle vendite oltre frontiera di spumanti generici italiani o del 13% di vini frizzanti”, commenta Denis Pantini, responsabile agroalimentare Wine Monitor Nomisma. I consumatori russi e dell’Est Europa, infatti, prediligono vini frizzanti e spumanti dolci e con prezzi competitivi. Un gradimento che finisce inevitabilmente per colpire i produttori di queste tipologie, Italia in primis. “Andando a vedere gli impatti sulle altre denominazioni o tipologie di vini francesi e spagnoli non si riscontrano infatti analogie simili a quelle italiane: Cava spagnolo, Cremant francesi o spumanti generici di entrambi i paesi vendono in questi due mercati meno del 2% del relativo export di categoria e lo stesso si evince per i vini fermi Dop come Bordeaux, Borgogna, Rioja dove l’incidenza è inferiore all’1%”, conclude Pantini.

Anche per i vini fermi Dop italiani, Russia e Ucraina presentano fortunatamente incidenze marginali sulle relative esportazioni. Quelle più alte si riscontrano per i vini fermi siciliani Dop (8%) e per i vini bianchi Dop veneti (4%). Nel caso del Prosecco, prima denominazione italiana esportata nel mondo, il peso di Russia e Ucraina per le relative esportazioni è inferiore al 5%, anche se va detto che negli ultimi tre anni (in piena pandemia) le vendite della nostra più famosa “bollicina” in questi due mercati erano raddoppiate.

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