Olio d’oliva solo con l’etichetta al ristorante. Lo impone una nuova disposizione entrata in vigore il 12 marzo che vieta ai pubblici esercizi di proporre al consumo confezioni di olio non etichettate, esclusi gli usi di cucina e di preparazione dei pasti. Pertanto non è più possibile presentare al ristorante o al bar, un’oliera senza la prescritta etichettatura con le indicazioni sull’olio. Ed ecco la parte più amara: in caso di violazione delle disposizioni, a carico dell’esercente si applica la sanzione amministrativa da mille a tremila euro.
Per mettersi in regola non resta che imboccare due strade: o puntare sulle bottiglie con regolare etichetta incollata dalla produzione, e quindi abbandonare l’idea dell’oliera nella quale si trovava aceto, sale, pepe, e stuzzicadenti. L’alternativa è resistere con la confezione tradizionale, ma adottando lo schema predisposto dal ministero delle Politiche agricole e forestali per chi intenda continuare con il prodotto “sfuso”. In tal caso sarebbe un percorso in salita, almeno nel primo tratto.
Le indicazioni previste da riportare obbligatoriamente nell’etichetta “domestica”, infatti, sono veramente tante. Si parte dalla denominazione di vendita, al tipo di olio proposto, se extravergine, vergine, di oliva, di sansa di oliva. E poi: la ragione sociale o il marchio depositato, con la sede del produttore o del confezionatore, o del venditore. E ancora: la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento, il volume nominale del prodotto, il “lotto” determinato dal produttore, ma pure le eventuali indicazioni ecologiche e senza trascurare la data del “preferibile consumo”. Va da sé che nel caso si cambiasse qualità e marca, bisognerebbe cambiare anche le relative indicazioni.
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