Paese che vai, evento che trovi. Anche piccolissimo, in territori bellissimi ma solitamente isolati, e dove l’enogastronomia, si può esserne certi, è sempre presente e accompagna la cultura. Secondo le stime, in Italia ogni anno ci sono oltre 42.000 tra festival, sagre ed eventi, per un totale complessivo di 306.000 giornate di attività e un fatturato diretto che si aggira intorno ai 900 milioni di euro (dati Fipe 2019). E nel caso degli eventi maggiori, i territori possono contare fino a 10 milioni di euro di entrate. Il tutto guardando alla stagione estiva alle porte che, si sa, è il momento clou, con oltre l’80% che si concentra tra i mesi di giugno e settembre. Non farli, rappresenta una mancanza pesante, enorme, per tanti territori che, spesso, vivono anche solo di questo, progettando e investendo tempo e denaro - molto, da parte dei Comuni o di singole aziende - durante tutto l’anno per l’evento che li ha resi famosi, attraendo fino a migliaia di persone. Lasciando un vuoto economico, ma anche culturale, sociale, identitario. È lo scenario di un 2020 sabbatico senza eventi enogastronomici a causa dell’emergenza Covid, che emerge dai “Dialoghi sul Turismo Enogastronomico” con gli esperti promossi sul web da Roberta Garibaldi. Web dove nella quarantena molti eventi sono stati fatti, ma che, è altrettanto certo, non può sostituire una realtà fatta di calore del pubblico, grazie anche al buon vino e al buon cibo locale, e performance dal vivo spesso irripetibili.
“Il settore degli eventi è uno dei più provati dalla crisi - spiega Garibaldi, professoressa di Marketing e di Economia e gestione delle imprese turistiche dell’Università di Bergamo, autrice del Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano - la situazione mette in crisi le aziende organizzatrici e crea un grande gap a livello di impatto economico e culturale per le aziende e sui territori. Abbiamo visto diversi eventi portati sul web: questa soluzione è funzionale solo per mantenere vivo il contatto coi partecipanti e può aiutare per le relazioni business”.
Cosa implica la perdita di un festival? La sola Sagra del Peperone di Carmagnola, evento enogastronomico che si tiene nel Comune piemontese, riesce ad attrarre 200.000-250.000 visitatori nella sola serata finale. Secondo Giuseppe Attanasi, docente di Economia Sperimentale presso l’Università della Costa Azzurra, Luiss e Bocconi, che da anni studia questo tema, “se quest’anno non venisse organizzata la perdita sarebbe stimata in circa 11-12 milioni di euro”. Ben più celebre, a San Vito lo Capo, in Sicilia, dal 1997 a settembre c’è il Cous Cous Fest, capace in un mese di registrare oltre 100.000 presenze, tra siciliani, italiani e stranieri. Per Canzio Marcello Orlando, co-founder e Ceo della società organizzatrice, Feedback, “la spesa pro-capite di questi turisti si aggira intorno agli 80-100 euro: nel complesso, 10 milioni di euro di indotto su una comunità di 4.200 abitanti”. E il tutto considerando, che il festival in sé ha un costo di 1 milione di euro. La partnership tra pubblico-privato che si è andata rafforzandosi negli anni ha consentito al festival di diventare un driver di sviluppo socioeconomico del territorio, sempre salvaguardandone l’identità. Basti pensare che oggi San Vito lo Capo vanta un Prodotto Interno Lordo pro-capite tra i più alti in Italia, la disoccupazione è minima e il rapporto posti letto per abitante è quasi 1 a 2 ovvero ogni sanvitese può ospitare fino a 2 turisti. Sono presenti ben 270 strutture turistiche, un numero elevato, e tutte create a partire da riconversioni di edifici esistenti, e con la massima attenzione alla tutela del territorio.
Senza dimenticare che gli eventi hanno un forte impatto sulla comunità dal punto di vista identitario, sociale ed economico. Contribuiscono a migliorare l’immagine del territorio, stimolano la creatività e la nascita di nuove collaborazioni tra gli stakeholder, favoriscono la salvaguardia e la valorizzazione delle tradizioni culturali e delle risorse locali, rafforzano i legami tra aree urbane e rurali. Spesso vengono organizzati in piccoli comuni, situati in aree rurali e montane distanti dai grandi centri urbani e sono per questi momenti di costruzione dell’identità collettiva, di ricostituzione della comunità e volano di sviluppo grazie al turismo che stimolando.
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