La legge italiana in tema di reati alimentari è come una grande squadra di calcio che gioca bene ma non riesce a segnare, ovvero non riesce ad arrivare a sentenza e a prendere i “pesci grossi”: la metafora calcistica non è poi troppo forzata per riassumere il pensiero del Pm Raffaele Guariniello, oggi tra i massimi esperti di reati alimentari in Italia, in passato agli onori delle cronache per le inchieste sul calcio. Un Guariniello che, al motto di “Renzi facci sognare”, invoca la creazione di una “nazionale”, per restare in metafora, di una “direzione generale contro i reati alimentari”, per mettere a sistema le risorse, “comunque oggi poche e poco specializzate che abbiamo per intervenire e rispondere ad una richiesta di sicurezza e di giustizia sul tema del cibo che è forte come non mai da parte di consumatori ed imprese virtuose. Nel 2015 sono state 89 le sentenze emesse, nel 2016 siamo già arrivati a 15”, ha detto alla platea del “Festival del Giornalismo Alimentare” di scena a Torino, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero delle Politiche agricole.
Un tema davvero sentito e quanto mai attuale quello dei reati legati al cibo, “come racconta la cronaca quotidiana, e con un peso crescente delle agromafie che , come emerge dall’ultimo rapporto Eurispes-Coldiretti, hanno raggiunto il business record di oltre 16 miliardi di euro”, ha ricordato la giornalista de “Il Sole 24 Ore” Mara Monti.
La questione è che l’impianto normativo italiano in tema di sicurezza alimentare, che è tra i più avanzati del mondo, “già oggi prevede strumenti potenzialmente efficaci per evitare che le esigenze del commercio prevalgano sul diritto alla salute e alla lealtà commerciale, ma all’atto pratico spesso si riesce a colpire solo chi ha responsabilità “minori”, peraltro arrivando raramente a sentenza, e spesso in prescrizione, nonostante reati accertati”, spiega Guariniello.
“Ma non mancano dei buchi, delle falle nel sistema - aggiunge il Pm - prima di tutto perchè molte delle norme che ci sono nella pratica non vengono applicate. Poi perché non c’è, come invece accade nella normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, una chiarezza su a chi vanno attribuite le responsabilità individuali di eventuali reati: per esempio, se un’azienda ha più stabilimenti, si colpisce sempre il responsabile dello stabilimento singolo, o peggio del singolo reparto, facendo leva su un sistema di delega che, peraltro, non è obbligatorio che sia scritta e puntuale, senza quasi mai andare ai vertici dell’azienda, tranne che per certi reati come la distribuzione di alimenti non in regola in mense di scuole ed ospedali, come confermato da una recente sentenza della Cassazione. Perchè talvolta i reati che vengono commessi sono episodici o incidentali, altri dipendono da impostazioni strutturali dell’azienda stessa. E questo - aggiunge Guariniello - dipende anche dal fatto che spesso ci si basa solo sui controlli di polizia, che molte volte si fermano alla documentazione, e ad un parere tecnico del Pm, ma poi non si fanno indagini più approfondite. Anche perchè ci sono pochissime procure specializzate in materia, e con pochissimo personale. Ma se non si lavora meglio sulla responsabilità civile e penale delle singole persone, la risposta giudiziara è ovviamente fragile. E poi ci sono tante altre cose da rivedere, come il comportamento di molti ispettori che avvisano le aziende prima dell’ispezione, o che talvolta sono anche consulenti di azienda, e questo non va bene. Poi è vero che ci sono troppi enti che si occupano di controlli, e che spesso si contraddicono tra loro, come del resto Procure che indagano su uno stesso caso da una parte archiviano e dell’altra rinviano a giudizio, così si crea una gran confusione, e non si arriva a risultati concreti. E questo ha conseguenze devastanti, perché tra le imprese scorrette si diffonde senso di impunità, e tra i consumatori ed i produttori onesti il senso di una giustizia negata che ha effetti negativi pesanti”.
Per questo Guariniello rilancia sull’esigenza “di creare una direzione nazionale che si occupi di reati nell’agroalimentare, che coordini le attività su tutto il territorio del Paese, anche perché certe frodi e truffe, come quella dell’olio extravergine di oliva, per esempio, non possono essere risolte davvero indagando in singoli territori, e perché le poche risorse che ci sono, e che vanno comunque implementate, vanno messe a sistema perché siano davvero efficaci”.
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