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IL FUTURO DEL MARE

Slow Fish: le alghe, esempio di economia circolare. E di un mare da salvare

L’appello di Slow Food: sì alla legge SalvaMare per consentire ai pescatori di raccogliere rifiuti
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Le alghe, esempio di economia circolare. E di un mare da salvare. Il messaggio di Slow Fish

Il Mediterraneo affoga sommerso dai rifiuti e i pescatori che trovano sempre meno pesci potrebbero e vorrebbero fare la loro parte ma non possono, perché i rifiuti pescati accidentalmente o generati dall’attività di pesca sono considerati “speciali” e soggetti a una procedura di raccolta e trattamento complessa e onerosa che scoraggerebbe chiunque. Un problema che potrebbe essere risolto dalla tanto attesa Legge SalvaMare, che prevede la possibilità di conferire questi rifiuti in apposite strutture di raccolta, anche temporanee, allestite in prossimità degli ormeggi, e che andrebbe incontro agli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Ue per lo sviluppo sostenibile. È il messaggio che arriva da Slow Fish n. 10, evento dedicato agli ecosistemi acquatici, organizzata da Slow Food, nei giorni scorsi, a Genova.
A Slow Fish si è parlato anche di esempi concreti di sostenibilità e di futuro, di opportunità economiche e ambientali, come quella rappresentata dalla coltivazione e produzione delle alghe, usate fin dalla preistoria per l’alimentazione umana, da decenni in cosmetici e altri prodotti non alimentari e recentemente riscoperte come “novel food” dalle proprietà miracolose, proposte come l’ennesima promessa di alimentare le comunità più povere con cibi dal gran valore proteico, non più creando monocolture terrestri, ma tuffandosi nelle nuove praterie sommerse. Secondo gli esperti esistono tra 30.000 e 1 milione di esemplari di alghe, e della maggior parte di esse non sappiamo assolutamente nulla. Quelle che conosciamo, e coltiviamo, al momento perlopiù per il consumo umano, secondo gli ultimi studi fruttano globalmente circa 6 miliardi di dollari, con una crescita esponenziale anno dopo anno. I Paesi che praticano l’alghicoltura sono 50 (Cina e Indonesia guidano la classifica) con condizioni sociali e remunerazione per chi ci lavora ai minimi livelli per mantenere i prezzi bassi. Stati Uniti ed Europa, per parte loro, in questi ultimi anni stanno cercando di recuperare a gran ritmo.
La coltivazione di alghe è promossa dagli organismi internazionali come soluzione alla penuria di terre e di cibo a livello globale, come mitigante degli effetti dei cambiamenti climatici e dell’acidificazione delle acque oceaniche. Secondo la Banca mondiale, ad esempio, la coltivazione di 500.000 tonnellate di alghe arriverebbe a consumare 135 milioni di tonnellate di carbonio, che rappresenta il 3,2% della quantità assorbita dal mare a causa dell’emissione di gas serra. Tuttavia, non sempre gli effetti dell’introduzione di specie aliene lungo le barriere coralline degli oceani che ospitano queste distese galleggianti sono prevedibili. Diversi studi hanno confermato casi di distruzione degli ecosistemi e, conseguentemente, la privazione di sovranità alimentare e opportunità sociali ed economiche per le comunità della pesca che a quegli ecosistemi devono la propria sopravvivenza.
Le alghe stanno attirando anche l’attenzione degli chef. Antonio Labriola, 35 anni di Marsico Nuovo in Basilicata, psicologo criminale e consulente in ambito gastronomico a Torino, propone una antica ricetta fatta con mischiglio, cioè un mix di farine un tempo recuperate dai contadini nei mulini e arricchite con rimanenze di farine di legumi, ceci, lenticchie e cicerchie. Impreziosito con spirulina che, oltre a fornire un buon profumo di mare e un grande apporto proteico, unisce mare e terra. Con il mischiglio Antonio Labriola realizza pasta tradizionale, come cavatelli e ferricelli che condisce con il buon pescato delle Comunità della pesca lucane e con gli immancabili peperoni cruschi, ingredienti che ben rappresentano l’indissolubile interconnessione tra mare e terra. Raccontando un mondo antico, ma in parte nuovo, che dal mare arriva al piatto.

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