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EFFETTO COVID-19

Spazi più ampi, meno coperti, doppi turni, salette “privè”: come cambierà la ristorazione

Cambierà la cucina: meno spazio per la creatività. I commenti di Paolo Marchi (Identità Golose) e dell’architetto Barbara Ghidoni (Studio Storage)
BARBARA GHIDONI, CAMBIAMENTO, CORONAVIRUS, PAOLO MARCHI, RISTORAZIONE, Non Solo Vino
Spazi più ampi, meno coperti, doppi turni, salette “privè”: come cambierà la ristorazione

La certezza, l’unica, purtroppo, è che ristoranti, bar e locali pubblici in genere, fino ad oggi, a causa del Coronavirus, hanno accusato perdite per 12 miliardi di euro. Perdite che, da qui alla fine dell’anno, secondo le ultime stime Fipe, arriveranno a 28 (con 300.000 posti di lavoro a rischio) per un settore che, in tempi normali, genera 80 miliardi di euro, più o meno, di valore aggiunto. Più difficile capire come, e per quanto tempo, il panorama della ristorazione italiana, di ogni livello, dovrà cambiare, per riprendere a lavorare nel quando delle nuove norme, tutte da mettere ancora nero su bianco, ma comunque restrittive, che saranno applicate quando partirà la cosiddetta “Fase 2”. Che prevede, secondo le tante indiscrezioni uscite fino ad oggi, che bar e ristoranti saranno tra le ultime tipologie di attività a poter riaprire. In ogni caso, mentre si fanno i conti con una crisi di liquidità enorme, la difficoltà di accedere ai sostegni economici varati dal Governo, e un boom, per chi può, del servizio a domicilio, che compensa solo in piccola parte i cali di fatturato (a marzo Confcommercio parla di un -68% sullo stesso mese 2019), un canale Ho.Re.Ca, sostanzialmente paralizzato, cerca di immaginare il futuro prossimo. Che, gioco forza, sarà fatto di meno coperti a disposizione in sala, ma anche di qualche cambiamento in cucina, tra menu che senza snaturarsi dovranno ottimizzare ancora di più i costi, la necessità, per legge, di avere distanze di lavoro più ampie tra lavoratori, così come in sala, dove non sarà improbabile vedere camerieri servire con mascherine e guanti usa e getta, magari al carrello, più che portando il piatto in mano. Ma è un futuro incerto, e tutto da scrivere.
“La cosa più difficile, in ogni caso sarà riportare la gente al ristorante, ritrovare la fiducia del cliente, la voglia di convivialità, perchè alla fine il ristorante italiano è diventato un luogo di piacere, non di nutrimento” commenta, a WineNews, Paolo Marchi, ideatore di “Identità Golose” e tra i maggiori osservatori della ristorazione italiana, soprattutto, ma non solo, di alto livello”
“Avremo paura del contagio, finchè non ci sarà un farmaco, timore di stare nei luoghi più affollati. Ed è una spada di Damocle costante, almeno sulla ristorazione da seduti. Dovremo iniziare a pensare ai doppi turni (e quindi alla prenotazione pressochè obbligatoria, ndr), a pasti che durano un tempo prefissato, come già succede in tanti Paesi, cosa che agli italiani non piace. Ma dovremo abituarci, dal momento che i locali avranno tavoli più distanziati e quindi meno coperti. E questo vale dalle pizzerie ai ristoranti fine dining. Ne parlavo con Niko Romito (tre stelle Michelin, con il Ristorante Reale, a Castel di Sangro), che ha locali anche a Shangai e a Pechino, in Cina, dove la fase di ripartenza è un po’ più avanti, e dove nei ristoranti sono consentiti solo tavoli da due e da quattro persone, che le debite distanze tra uno e l’altro. Ecco, per un po’ le grandi tavolate ovviamente saranno tabù. Ma con tutto questo cucinare a casa, magari anche bene, e con il delivery di qualità, sarà complicato far tornare la gente al ristorante in generale. Anche perchè ci si chiederà comunque molto più rispetto a prima se il bagno è davvero pulito bene, se piatti e posate sono igienizzate a dovere e così via”.
E, probabilmente, cambierà qualcosa anche a livello di proposta culinaria. “Per un po’, l’innovazione e la ricerca in cucina saranno sicuramente penalizzati. Ci saranno tanti problemi anche dal punto di vista economico, e magari i clienti cercheranno più lasagne che ravioli aperti, per citare un grande piatto di Gualtiero Marchesi. Magari non nella fascia altissima. Parlavo, per esempio, con Enrico Bartolini (lo chef più stellato d’Italia, comprese le tre stelle del Mudec di Milano, ultimo massimo riconoscimento assegnato dalla guida Michelin): ovviamente chi è andato al Mudec fino ad oggi lo ha fatto cercando un certo tipo di esperienza gastronomica, e quando il ristorante riaprirà, continuerà a proporla, non potrà essere stravolta. Magari con qualche piatto in meno. E vale per chi cerca un certo tipo di cucina, di lusso. Non si tratta di stravolgere, ma di essere intelligenti, magari concentrando l’offerta nella seconda patte della settimana, per fare un esempio. Inoltre, dovremo anche adattarci al fatto che, a livello di materia prima, non tutto sarà sempre disponibile, come oggi. Quindi potranno cambiare anche degli ingredienti, magari più di territorio. Soffrirà molto chi ha tarato tutto sulla clientela straniera, anche di alta gamma, come certi hotel o zone, per esempio. Ma si dovrà vedere come riaprirà il traffico aereo, per esempio, di come e quanto si potrà viaggiare, da un punto di vista pratico, ma anche economico. Sono tanti i fattori da valutare. L’unico grande vantaggio sarà che ci sarà una tale voglia di vivere che guai se non approfitteremo di qualsiasi spazio ci sarà concesso”. Viene da chiedersi, però, al di là dei cambiamenti, quanti locali riusciranno a sopravvivere a questa crisi epocale, e riuscire a ripartire. “Per tanti sarà complicatissimo, questa è come una terza guerra mondiale contro un nemico invisibile, l’impatto sarà fortissimo. Penso agli stellati, per esempio. Oggi sono più o meno 370: sarei sorpreso positivamente se quando sarà autunno ne conteremo ancora almeno 300, perchè temo, per esempio, che tanti alberghi che hanno ristoranti stellati, senza ospiti, non potranno sostenerne i costi e magari convertiranno tanta offerta di alto livello in bistrot o altro di più semplice Ma c’è anche un altro problema: una parte di ristorazione, è inutile negarlo, un po’ di nero lo fa, in termini di bilancio, ma anche di personale impiegato. Ora che c’è da chiedere i contributi, che sono proporzionati al fatturato e al numero di dipendenti, molti potranno chiedere assai poco”. Come detto, in ogni caso, ci sarà una “Fase 2” con misure restrittive, e le ipotesi per bar e ristoranti parlano, come detto, di distanze di sicurezza di almeno un metro tra clienti e personale di servizio, ma anche, per esempio, di barriere e divisori in plexiglass o altro. Normative che, in qualche modo, cambieranno per un po’, o forse per sempre, la concezione dello spazio nei locali pubblici. Che, però, in buona parte sono destinati ad una funzione più edonistica che “di servizio”, e quindi dovranno essere comunque anche belli, oltre che funzionali, come sottolinea, a WineNews, Barbara Ghidoni di “Studio Storage” (con Marco Donati e Michele Pasini) di Milano, che ha firmato diversi locali nel capoluogo lombardo, come “God Save The Food” e “Les Pommes”, ma anche ristoranti come il Lilium a Copenaghen. “Barriere divisorie in plexiglass o altro sono una delle soluzioni indicate, ma al di là di quanto possano essere efficaci da un punto di vista di protezione dal virus, sicuramente lo sono poco dal punto di vista della fruizione del ristorante. Sia da un punto di vista pratico, che psicologico. Più che altro si ragiona su come intervenire per migliorare il riciclo dell’aria, sulla sanificazione costante, migliorando la gestione anche dell’aria condizionata. Ma non tutti i luoghi ed i locali possono mettere in campo soluzioni in questo senso. Credo che nell’immediato la soluzione da caldeggiare sia quella di intervenire meno possibile sperando presto di tornare alla normalità. Quindi, sostanzialmente, distanziando gli spazi, anche se questo chiaramente chiama in ballo il dover fare i conti con coperti dimezzati. Sicuramente in questo senso saranno più svantaggiati i ristoranti turistici, che lavorano molto sull’utilizzo massimo della superficie, rispetto a quelli di alto livello, dove già magari le distanze tra tavoli, e al tavolo, sono più ampie. Altri stanno lavorando sul potenziare al massimo il delivery. E già prima del Covid, per esempio, sta emergendo la tendenza di locali che per fare l’asporto, per esempio, prevedevano una sorta di affaccio all’esterno, una finestra di servizio rivolta al fuori dal locale, senza fare assembramento all’interno, come abbiamo visto nel Bloom a Treviso che abbiamo progettato, che è ristorante, bar e spazio co-working. E questo, dove possibile, probabilmente sarà implementato. È una sorta di evoluzione dello street food in chiave più contemporanea, che sicuramente troverà spazio. Oppure, si potranno implementare, sempre dove possibili, soluzioni come quelle che abbiamo pensato per il “God Save the Food” di Viale Piave a Milano, dove al piano superiore, invece dei tavoli in sala, ci sono delle salette private, anche se aperte, dove si sta al massimo in 6 persone, e dove quindi, pur in un contesto di minor compresenza di persone, c’è comunque un clima di convivialità, che resta fondamentale”.

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