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CONGRESSO ASSOENOLOGI

Storia, varietà e ricerca, intorno ed oltre il “totem” Aglianico: la Basilicata del vino di domani

L’evoluzione vinicola di una Regione dove la vite è presente da millenni, e che ora punta su identità, innovazione e altissima qualità

Un presente che, nella vulgata, è legato quasi esclusivamente al Vulture e all’Aglianico, ma un futuro che, animato dalla stessa forza d’animo con cui i sassi di Matera sono stati trasformati in una delle meraviglie del mondo, vuole recuperare il passato, la enorme varietà di vitigni di antica coltivazioni salvati e recuperati (oltre 60), e guardare al futuro, attraverso la promozione, per farsi conoscere e per valorizzare le proprie produzioni, vinicole ma non solo, ma anche attraverso la ricerca scientifica, esplorando ogni frontiera, compresa quella della genetica. È il coacervo vitale che racconta la Basilicata del vino, terra lucana in cui la viticultura è storia di millenni, con un tessuto istituzionale e produttivo che è tornato a lavorare unito, nelle sue diversità, per costruire un futuro nuovo con le radici affondate su solide basi. Solide come una storia antichissima, perchè qui la viticoltura è presente fin dal 1.300 avanti Cristo, raccontata nelle testimonianze degli storici romani, Plinio e Stradone, nella terra che ha dato i natali al poeta latino Quinto Orazio Flacco, nato a Venosa. Solide come i sassi di Matera, città Capitale Europea della Cultura 2019, che ospita il Congresso degli Enologi Italiani (Assoenologi), con la regia dell’Enoteca Regionale Lucana, guidata da Paolo Montrone.
“La Basilicata è da sempre identificata con l’Aglianico, che è ovviamente il vitigno predominante, ma oggi è una realtà molto più variegata, fatta di tanti vitigni storici recuperati”, ha detto il giornalista e critico Luciano Pignataro, tra i massimi conoscitori e divulgatori del vino e della gastronomia del Sud Italia.
Ed in effetti la Basilicata, nei suoi 2.000 ettari di vigna (di cui la metà dedicata alla produzione di vini Dop, tra la Docg, l’Aglianico del Vulture Superiore, 4 le Doc, Aglianico del Vulture, Grottino di Roccanova, Matera e Terre dell’Alta Val d’Agri), racchiude decine e decine di vitigni antichi, e nel suo essere piccola, per dimensione, è una della Regioni italiani più ricche in questo senso. E si tratta in molti casi di vitigni quasi estinti, e recuperati solo di recente, come ha spiegato il professor Donato Antonacci, direttore Crea Utv - Turi: “l’Aglianico è il vitigno che rappresenta il territorio, non c’è dubbio: da solo, fino al 1999, copriva il 10% della base ampelografica. Poi ci sono stati tanti progetti di ricerca e di studio, tra Crea, Università della Basilicata e non solo, e per esempio, con Basivin_Sud nel materano abbiamo trovato e recuperato oltre 60 antichi vitigni che rischiavano di andare perduti. Compreso l’Aglianico Bianco, che presto sarà iscritto al registro delle varietà di vitigni da vino utilizzabili per la produzione, e che sembra essere un’uva particolarmente interessante per i suoi ph, la buona acidità e gli zuccheri presenti”.
Ma sono tante le chicche riscoperte della Basilicata del vino, “come il Guarnacino Nero, che abbiamo trovato solo a Chiaromonte, per esempio - ha spiegato Filippo Corbo, dirigente del Dipartimento delle Politiche Agricole della Regione Basilicata - una delle tante peculiarità di una Regione che ha prodotto vino per anni, ma spesso un vino senza volto, e poco valorizzato. Io dico che c’era già un’eccellenza che, però, non era organizzata. Negli ultimi 15 anni abbiamo lavorato per valorizzare la vigna, il paesaggio, per mettere a sistema quello che abbiamo. Fino a pochi anni fa c’era solo la Doc Aglianico del Vulture, che poi è diventata Docg nella versione Superiore, e sono nate la Doc Matera , legata alla storia dell’800, e anche quelle del Grottino di Roccanova e delle Terre dell’Alta Val d’Agri. Fino a pochi anni fa c’erano 45 aziende (qui hanno investito anche importanti realtà del vino italiano, oltre allo stesso Gruppo Italiano Vini, anche Feudi di San Gregorio con Basilisco, o Tommasi con cantina Paternoster, tra gli altri, ndr), oggi sono più o meno 100. Segno che c’è la volontà di investire e di lavorare per far crescere questo territorio”.
Una crescita che passa anche dalla ricerca, come spiegato da Gerardo Giuratrabocchetti, alla guida delle Cantine del Notaio e del Consorzio “Qui Vulture”.
“Quando si pensa alla Basilicata si pensa ad una Regione piccola, con poca tradizione, ma così non è. Si tratta di una Regione ricca di agricoltura, di storia: penso alle grotte di Barile o di Rapolla, o a quelle di Rionero del Vulture, con 1.250 cantine scavate nel tufo vulcanico.
Gran parte del territorio vitato è in zone montane, ma c’è anche tanta collina e pianura, e la viticoltura copre quasi la metà della superficie regionale, di 1 milione di chilometri quadrati. È un mondo da scoprire. Il Consorzio “Qui Vulture” è nato dall’iniziativa di pochi privati, un’azione che vuole essere una spinta alla valorizzazione del territorio, e al fare ricerca. Con diversi progetti. Uno, per esempio, riguarda le tecniche di coltivazione dell’Aglianico. Perchè fare l’Aglianico del Vulture costa tanto: siamo a novembre, ed è ancora in piena maturazione, è il vitigno più tardivo, è per noi un compagno straordinario, ma che ci impone le sue regole, i suoi tempi ci espongono a grandi rischi. E quindi, per esempio, studiamo come meccanizzare il più possibile le operazioni in vigna, per abbassare il costo di produzione, salvaguardando qualità del vino e del territorio. Ma stiamo lavorando anche allo studio del genoma dell’Aglianico, per lavorare sul genoma editing, che, vale la pena ricordarlo ancora una volta, non è fare Ogm. L’Aglianico, anche per i suoi lunghi tempi di maturazione, è fortemente sensibile ed esposto ad oidio e peronospora, per esempio, e lavorando sul genoma si può pensare a varietà di Aglianico più resistente alle malattie, e magari anche un po’ più precoce nelle maturazioni, come avveniva per esempio a metà dell’Ottocento. Siamo sulla buona strada, e credo che nel giro di 2-3 anni arriveremo a dei risultati importanti”.
Passa anche da qui quella che Francesco Perillo, presidente del Consorzio dell’Aglianico del Vulture, chiama la rivoluzione del “made in Vulture”. “L’Aglianico del Vulture è la punta di diamante della viticoltura lucana. Negli ultimi 20 anni abbiamo fatto grandi passi in avanti per il comparto produttivo, siamo cresciuti sia in qualità del prodotto, che, in numeri, non solo grazie alle grandi cantine apripista, ma anche ai piccoli produttori che spingono per confrontarsi con le realtà più importanti del Belpaese, ed i premi che arrivano sono importanti e confermano e dicono che siamo sulla strada giusta”.
Ma come detto, la Basilicata del vino è molto più del Vulture e dell’Aglianico. Come la Doc Matera, “che è giovane, siamo nati nel 2005 - spiega il presidente del Consorzio, Vito Cifarelli - ma è la più importante per estensione, e abbraccia 31 Comuni della Provincia. Ed è quella che in disciplinare ha più vitigni, con tante varietà locali, come il Primitivo, il Greco Bianco, la Malvasia Bianca di Basilicata, l’Aglianico, ma anche internazionali, come Merlot, e Cabernet Sauvignon, e anche il Sangiovese, tra le altre. Produciamo 11 tipologie di vini, tra bianchi, rossi, rosati, bollicine e passiti, e proprio a Matera si trova anche uno dei primi spumantisti del sud. Puntiamo sul Greco Bianco, e soprattutto sul Primitivo, che è una sfida perchè siamo vicini alla Puglia, che è la regione più conosciuta per questo vitigno. Ma noi siamo convinti che il nostro Primitivo qui esprime delle caratteristiche uniche. E poi un vino è cultura quando racconta un territorio, un clima, un terreno, ma anche la storia del territorio, l’ospitalità della gente. Chi apre una bottiglia vuole emozione, e noi non vogliamo fare una bevanda, ma regalare emozioni”.
Ma la Basilicata, oltre che scrigno di gioielli viticoli, lo è anche di tanti giacimenti enogastronomici antichi. Dai Peperoni di Senise ai Fagioli di Sarconi, dalla Lucanica di Picerno al Pecorino di Filiano, dal Pane di Matera alla Melanzana Rossa di Rotonda, per citarne alcuni. Che, da qualche anno, c’è chi ha pensato che debbano promuoversi in sinergia con il vino, come spiegato da Giuseppe Avigliano, presidente del Consorzio Eccellenze Lucane - Terre del Cibo.
“L’idea era di fare un progetto unico di promozione, che includesse tutta la ricchezza enogastronomica della Basilicata, per rafforzare la filiera e metterla più in comunicazione con il consumatore finale, raccontare che è un territorio incontaminato, antico, ricchissimo. Ma abbiamo lavorato anche sul territorio, per potenziale la vendita diretta, per fare educazione nelle scuole, costruendo percorsi enogastronomici in sinergia con ristoranti, distributori e player del territorio, lavorando con tour operator, buyer. Dobbiamo creare sinergie tra realtà pubbliche e private, per far crescere la Basilicata del cibo e del vino”.

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