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DEGUSTAZIONI

Strumento per leggere il territorio, percorso per diventare fine wine: Bertani racconta la “Library”

A “Vinitaly”, nel tasting di sei annate “esuberanti” di Amarone, la traccia per la denominazione e la presentazione dell’“annata manifesto” 2013

“L’Amarone della Valpolicella non è ancora un fine wine: ha bisogno di trovare una propria identità, di legarsi alle peculiarità del territorio e delle singole vendemmie, cercando di superare definitivamente l’obiettivo prettamente commerciale che ha trainato fino ad oggi la denominazione”. Sono queste le parole che ha usato Andrea Lonardi, Coo di Angelini Wines & Estates, per spiegare il motivo che ha portato l’azienda ad investire per 10 anni (dal 2012) nel libro-strumento della “Library”. Un’enciclopedia che raccoglie 64 anni di storia e 43 vendemmie (tutte disponibili sul mercato), narrate da Lonardi, e nata per dare valore ad ogni singola annata, contestualizzandola al suo ambiente. Una collezione iniziata con capacità visionaria dal Cavalier Bertani e che via via è stata portata avanti negli anni, anche dal Gruppo Angelini, mantenendo fede al valore di trasparenza e identità che hanno caratterizzato l’azienda e che hanno fatto sì che l’Amarone Bertani, lui sì, venisse considerato a livello mondiale un fine wine.
Dopo la degustazione storica organizzata in settembre 2022 con tutte le 43 annate, a “Vinitaly” Ettore Nicoletto, ad di Angelini Wines & Estates, Andrea Lonardi e Asa Johansson, scrittrice freelance, hanno presentato una degustazione di 6 vendemmie di Amarone della Valpolicella Classico, una per ogni decennio, a rappresentare alcune delle annate considerate “esuberanti” (rispetto a quelle “gentili”, “armoniose” e “fini” descritte nella pubblicazione): perché ogni anno è climaticamente e umanamente diverso e va rispettato, senza pretendere che ogni volta ne esca il vino migliore di sempre. Una degustazione di 6 annate (1962 - 1972 - 1980 - 1998 - 2001 e la 2013 presentata in anteprima) assaggiate cercando di stratificare mentalmente la provenienza del vino, partendo dall’influenza del paese Italia, scendendo nella denominazione e i suoli che la caratterizzano, fino ad arrivare al brand e all’interpretazione di Bertani.
“Per fare fine wine bisogna anche guardarsi intorno per capire dove ci si trova”, sostiene Andrea Lonardi. Si è partiti quindi dalla 1962: imbottigliata nel 1984 perché non si vendeva, è diventata una specie di “metodo Solera” perché ogni anno si aggiungeva un poco di nuova annata. Il ricordo di Sherry è caratterizzante, con note di caffé e boisé, fresco e decisamente sapido in bocca. L’annata 1972 ricorda i vini della Borgogna: furioso e nervoso, ha un tannino ancora vivo e la freschezza delle erbe medicinali. Il 1980 ha aperto una stagione di annate fresche e piovose, difficili e cerca quindi spazio fra i grandi, con la sua struttura esile ma tesa e spiccatamente agrumata, che ricorda i rossi toscani. Una grande annata il 1998, invece, che aggiunge strati organolettici ad ogni nuovo approccio, somigliando ad un Bordeaux olfattivamente ma corrispondendo pienamente ad un Amarone al sorso. La 2001 ha meno tensione ma è più voluttuoso, è rotondo ma senza densità, e ricorda i vini di Châteauneuf-du-Pape. Infine la 2013, presentata in anteprima: manifesto di Bertani per la denominazione, concetto di fine-Amarone dell’azienda, per tutto quello detto finora. “Un vino preciso senza essere noioso”, secondo Asa Johansson. Un clone di Corvina apposta dedicato, 7-8 anni di maturazione in rovere di slavonia e un anno di affinamento in bottiglia - tutto pensato “per proteggere ciò che facciamo” - hanno prodotto un vino vivo, in cui dolcezza e spigolature acide si arricchiscono a vicenda e dove frutta, fiori e balsami si intrecciano armoniosamente.
Corvina e Rondinella le uve usate da sempre per creare l’Amarone Bertani, coltivate in parte su terreni vulcanici e in parte su terreni bianchi calcarei. Negli anni sono cambiate le vinificazioni in cantina - evitando di spingere sulle ossidazioni e sostituendo i tini di legno francese con quelli di slavonia, ma anche la ricerca in vigna, che ha portato la cantina a differenziare i cloni per le specifiche etichette che produce. Ma nonostante questo è sempre stato possibile identificarlo chiaramente, grazie ad un equilibrio perfetto fra le due tipologie di Amarone che negli anni si sono imposti in valle: secondo Ernesto Barbero, precedente enologo di Bertani, infatti, fra la versione “concentrata, estrattiva, potente e alcolica ma difficile da bere” e l’altra più “scorrevole, gentile, ma con meno personalità e facile da confondere”, l’Amarone Bertani si è sempre collocato in mezzo, definendolo un vino “più ampio della vita”.

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