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POLITICA INTERNAZIONALE

Sui vini australiani la mazzata di Pechino: tariffe all’importazione tra il 116% e il 118%

La Cina accusa l’Australia di dumping, ma dietro c’è lo scontro politico tra i due Paesi. E il Governo di Canberra si rivolge al Wto
AUSTRALIA, CINA, COMMERCIO, DAZI, EXPORT, vino, WTO, Mondo
Il presidente cinese Xi Jinping

Non è una doccia fredda, perché la decisione del Ministero del Commercio Cinese era nell’aria, ma l’introduzione, da ieri, di dazi tra il 116% e il 218% sui vini australiani è un vero e proprio terremoto nel panorama del commercio enoico mondiale. L’Australia, vale la pena ricordarlo, aveva chiuso il 2020 come primo esportatore di vino in Cina, tanto in termini quantitativi (104 milioni di litri) che a valore (627 milioni di euro), in calo nell’anno della pandemia del 18%, ma comunque un giro d’affari importante. Anzi, fondamentale per l’intera filiera enoica del Paese, rappresentata dalla Australian Grape & Wine.
La decisione di Pechino, almeno ufficialmente, è arrivata in seguito alle accuse di dumping sollevate qualche mese fa. Ossia, dopo che il governo australiano aveva ufficialmente condannato la gestione di Pechino delle proteste dei giovani di Hong Kong. La tempistica, politicamente, ha un peso importante, anche perché l’accusa di vendere sottoprezzo per spuntare margini superiori, danneggiando la produzione cinese, è difficile da dimostrare. L’Australia, infatti, spunta uno dei prezzi medi più alti in assoluto. La questione, ovviamente, non finisce qui, perché il Ministro del Commercio australiano, Dan Tehan, ha qualificato come “completamente ingiustificabile” la decisione di Pechino (che ha colpito tanti altri prodotti, come aragoste e carne di manzo, ndr), dichiarando l’intenzione di rivolgersi alla World Trade Organization.
Al contempo, l’industria del vino australiano si è già messa al lavoro per esplorare nuovi mercati: dazi al 116-218%, di fatto, rendono praticamente impossibile continuare ad esportare in Cina, e allora si guarda agli altri mercati asiatici, ma anche a Europa, Stati Uniti e Gran Bretagna. Il Governo, come primo passo, ha messo sul piatto una dotazione di oltre 7 milioni di dollari australiani per la promozione delle produzioni agroindustriali del Paese all’estero. Così, se da un lato si aprirà la corsa a spartirsi le quote perse dall’Australia sul mercato cinese, dall’altro si dovrà fare attenzione ad un nuovo, per quanto lontanissimo, competitor su tutti gli altri grandi mercati del consumo enoico.

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