Tassare le mance, una follia o un fatto di giustizia tributaria? È il dilemma di fronte al quale ci si ritrova leggendo la sentenza della Cassazione che, due giorni fa, ha stabilito che anche le mance lasciate dai clienti concorrono al reddito del lavoratore, in quanto somme ricevute nell’ambito del rapporto di lavoro. Il pronunciamento della Suprema Corte, che fa giurisprudenza, nasce da un caso che risale al 2007. All’epoca, l’Agenzia delle Entrate della Sardegna aveva presentato al capo ricevimento di un hotel di lusso, un avviso di accertamento per evasione, relativo a 84.000 euro di mance non dichiarate. Non una cifra irrisoria, anzi, oltre il triplo dello stipendio netto di un cameriere, somma che era stata considerata “reddito da lavoro dipendente non dichiarato”.
Il nodo sta nel fatto che, a norma di legge, la tassazione delle mance non è prevista, e infatti i giudici della commissione tributaria dell’Isola avevano accolto il ricorso del capo ricevimento, considerando le mance non tassabili e slegate dal suo contratto di lavoro. Non è così per la Corte di Cassazione, che, dando ragione all’Agenzia delle Entrate, sostiene che “in tema di reddito da lavoro dipendente le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito”, ossia “tutto ciò che il dipendente riceve”. Si parla, altro aspetto fondamentale, di entrate su cui il lavoratore “può fare, per sua comune esperienza, ragionevole, se non certo, affidamento”, ecco perché da questa sentenza nulla dovrebbe cambiare per i lavoratori stagionali. La palla adesso torna ai giudici tributari della Sardegna, che dovranno ovviamente tenere conto della sentenza della Cassazione, che supera così la circolare n.3/2008 dell’Agenzia delle Entrate, che definiva “non imponibili le donazioni di valore limitato”.
La questione è decisamente complessa, e se, a livello legislativo, è difficile mettere in dubbio una sentenza della Cassazione, in termini di buonsenso è una decisione che mette in pericolo una parte fondamentale del reddito di chi lavora nel mondo della ristorazione e dell’accoglienza. E che spesso lo fa con contratti stagionali, a volte a chiamata, che fortunatamente non dovrebbero rientrare tra i casi individuati dalla sentenza. Il principio, del resto, su certe somme è quantomeno comprensibile, ma resta il più grande di tutti gli interrogativi: come fare a tassare le mance? Perché, ad oggi, non sono - come avviene ad esempio negli Stati Uniti - comprese nello scontrino fiscale, ma lasciate a discrezione del cliente, ovviamente in contanti, e per questo impossibili, o quasi, da tracciare. Il “timore”, fondato, è che si vada verso un’ulteriore regolamentazione e burocratizzazione di uno dei settori più tartassati dell’economia italiana.
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