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TIRRENO

I maggiori produttori del vino toscano contestano i vincoli del Pit regionale “Relega l’agricoltura in una sorta di museo senza reddito e occupazione” ... “Non è questione di emendamenti o di piccole modifiche per cambiare, qua e là, alcune cose, quanto piuttosto di un profonda e radicale inversione di rotta che superi la filosofia di fondo del piano”. Bocciato. “L’è tutto da rifare”, direbbe Gino Bartali. Così si conclude il documento sul Pii della Regione che i consorzi del vino, una ventina in tutto, hanno concordato ieri, in un vertice tenutosi a Firenze.

Dal Chianti a Montalcino, da Bolgheri a Scansano, da Bibbona a Montepulciano, tutti i più noti vini del made in Tuscany hanno deciso di scendere in campo contro l’assessore Anna Marson e il suo piano del paesaggio. Entro il 29 settembre possono essere avanzate osservazione alle quasi 3mila pagine del Pit, ma i consorzi del vino mettono le mani avanti. E come sottolinea Federico Zileri Del Verme, presidente del consorzio dei vini di Bolgheri, non chiedono qualche modifica qua e là: “Noi chiediamo lo stralcio. Quel piano così come redatto non va bene”.

In realtà Giuseppe Liberatore, direttore del consorzio Chianti classico, fa capire che sì il Piano andrebbe riscritto, ma poi alle fine, come assicurato da Vittorio e Latnberto Frescobaldi al presidente della Regione Enrico Rossi, saranno avanzate dai viticoltori osservazioni puntuali al piano, in via di preparazione. Ma intanto la guerra continua, e lunedì prossimo manifestazione di protesta al mercato centrale di Firenze.

Le viti rendono, gli ulivi no. Ma in concreto quali sono i rilievi critici al piano? Intanto il mo

dello di agricoltura che il Pit propone. Un modello “vecchio e non competitivo”, che se attuato bloccherebbe “lo sviluppo dell’agricoltura di qualità che pure è parte integrante e decisiva del Pil toscano”. Dello stesso avviso anche Guido Folonari, presidente di Confagricoltura di Livorno: “Il Pit vuole pianificare l’attività agricola su parametri estetici, invece di proporre una agricoltura attiva e moderna, produttrice di reddito e occupazione”.

Liberatore va sul concreto e riporta le foto della Toscana agricola di qualche decennio fa e quelle odierne. Là dove c’erano campi di grano e di ulivi, oggi ci sono distese di viti: “Premesso che dal punto di vista del paesaggio quella Toscana non era più bella di quella di oggi, resta il fatto che, ad esempio, gli ulivi non sono redditizi, le viti sì”, spiega liberatore.

In breve, come è ovvio, gli agricoltori puntano sulle produzioni che producono reddito. E c’è chi ieri a Firenze, polemicamente osservava: “Alla Regione interessano gli ulivi o altre colture oggi in via di scomparsa? Ok, ma allora deve sostenere il reddito degli agricoltori”.

Le vigne non sono un museo. E comunque - altro tema del documento - i consorzi respingono l’idea manichea che loro ravvisano nel Pit tra “tradizione e innovazione”: “Il vero neinico delle nostre bellezze è l’abbandono delle colture che si può combattere soltanto favorendo lo sviluppo di un’agricoltura di qualità, capace contemporanea-niente di tutelare l’ambiente e di favorire occasioni di reddito”, si sostiene nel documento. Che accusa il Pit di essere viziato “ da pesanti pregiudizi ideologici che rischiano di confinare la nostra agricoltura e, in particolare, la stragrande maggioranza del comparto vitivinicolo, in un ghetto residuale e di carattere quasi esclusivamente museale”.

Troppi vincoli. C’è poi un terzo aspetto che nel documento dei consorzi non appare, ma è sottinteso e che Folonari rende espli cito: “Sono troppi i vincoli e le limitazioni per chi vuole sostituire il vecchio vigneto con uno nuovo o anche realizzarne di nuovi in terreni oggi incolti, stante il mercato globale del vino che per fortuna è in

costante crescita”, spiega il presidente degli imprenditori agricoli livornesi. In una congiuntura positiva i produttori del vino non vogliono lacci e lacciuoli alla loro voglia di investire nelle vigne. “Non accettiamo che ci vengano ad insegnare come si fa gli agricoltori”, sbotta qualche signore del vino.

La Regione replica che non di vincoli si tratta ma di dire ttive. Questo è un punto da chiarire, sostengono i consorzi, che non accettano prescrizioni e temono anche che le direttive possano essere male interpretate dagli uffici tecnici del comuni.

Falchi e colombe. Per ora siamo allo scontro, ma anche nel mondo complesso dei produttori di vino, come osserva Massimo Regoli, direttore del sito specializzato WineNews, stanno emergendo timidamente anche le colombe. “Le contrapposizioni ideologiche non servono però: i territori del vino non si salvaguardano con visioni di fazione o con polemiche politiche o economiche”, spiega.

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