Con i suoi 1,86 miliari di euro di importazioni di vino italiano ne 2022 (+8,3% sul 2021, dati Istat), gli Stati Uniti, al netto della crescita di tante altre aree del mondo, rimangono il primo partner straniero delle cantine italiane. Un mercato florido, fatto in realtà da tanti Stati diversi tra loro, alcuni maturi o quasi saturi, altri ancora tutti da esplorare, ma con trend comuni che, a WineNews, da ProWein, a Dusseldorf, che si chiude oggi, ha raccontato MaryAnn Pisani, che lavora nel mercato americano da oltre 30 anni, ed è Chief Revenue Officer by Mhw, uno dei più grandi importatori e distributori di vino in Usa, con licenze per tutti i 50 Stati del Paese. E tra i trend più importanti, Pisani ne sottolinea uno che non è nuovo, “perchè è un fenomeno che registriamo da 20 anni”, ma che è sempre più accelerato in ogni canale, che sia il fuori casa, il consumo domestico o l’e-commerce, che è quello della premiumisation.
“Ormai è un fenomeno strutturale, e lo dicono anche i dati. Nell’ultimo anno, per esempio, i vini di prezzo più basso hanno perso quote di mercato, mentre i vini premium e di lusso sono cresciuti dell’1,2%, e hanno, per la prima volta, superato la quota del 10% del mercato totale. E i dati di Nielsen dicono il price point allo scaffale tra i 20 ed i 25 dollari è quello che cresce di più”. Ma, al di là dei freddi numeri, seppur importanti, sono i fenomeni sociali quelli che stanno cambiando il mercato.
“I giovani, ma non solo, ormai condividono tutta la loro vita sui social, ed i momenti di brindisi o di festa sono tra i più gettonati, e anche per questo - ha sottolineato MaryAnn Pisani - spumanti e rosè stanno crescendo molto, perchè sono molto adatti alle foto sui social come Instagram”. Ancora, emerge un consumo sempre più cross-categoria, perchè se in passato c’erano dei cluster di consumatori con scelte più nette, oggi chi beve prevalentemente vino beve anche birra o altre bevande anche nella stessa occasione di consumo come una cena o un party, ed inoltre non c’è grande fedeltà dei consumatori verso un particolare marchio rispetto ad un altro.
Guardando, in particolare, ai giovani e alla Gen Z, ha sottolineato Pisani, “innanzitutto è una generazione che beve con più moderazione rispetto a quelle precedenti. Sono giovani che hanno voglia di divertirsi senza perdere il controllo, e sono molto attenti alla salute, e non è un caso che vini e bevande low-alcol o dealcolate stiano crescendo molto. Così come i Ready-to-drink, anche a base di vino: nel complesso, nel 2020, c’erano poco meno di 1.000 referenze sul mercato, oggi siamo a più di 1.600”. E poi c’è il grande tema della “sostenibilità”. Un tema “che coinvolge ogni aspetto, non solo il vino, con tutto il mondo “organic” che ha molto appeal, ma anche l’aspetto ambientale, partendo dal packaging, ma anche sociale, con i consumatori che sono sempre più attenti a premiare brand e aziende che rispettano certi valori etici, dal rispetto dei lavoratori, dei fornitori e così via”.
Insomma, quello americano oggi è un mercato “più dinamico che in passato, più grande ma anche più competitivo. I consumatori sono curiosi, informati sui prodotti, cercano qualità ma vogliono conoscere anche le storie delle cantine, come lavorano e così via, e raccontare queste cose è importantissimo, come lo è continuare ad educare il consumatore”. Trend e spunti importanti per tutti, anche per i produttori italiani. “E ci sono tante realtà capaci di leggere questi trend e di interpretarli al meglio, in maniera efficace, ma anche tanti altri, soprattutto tra le piccole realtà a conduzione familiare, molto legate alla loro tradizione e al loro modo di lavorare, che fanno più fatica. In ogni caso, quello degli Usa, vale la pena ricordarlo, è un mercato forte, di grandi potenzialità ma molto complesso: ogni zona o Stato ha in suoi trend specifici, le sue leggi, e ognuno va studiato bene per capire su quali investire. Serve una preparazione forte, non basta essere presenti: lavorare in Usa è come lavorare su 50 mercati diversi”.
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