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UN PRODOTTO DI NICCHIA DEL MADE IN ITALY, TERRITORIALE E RICERCATO, CON TUTTE LE CARTE IN REGOLA A PARTIRE DALLA VOGLIA DI UNIRSI E INNOVARE DEI PRODUTTORI PER CONQUISTARE MERCATI NAZIONALE E ESTERI: ECCO LA “CASE HISTORY” DEL SUINO NERO DEI NEBRODI

E’ un prodotto di nicchia dell’eccellenza made in Italy, sempre più amata oltreconfine, ha un carattere fortemente territoriale, vero valore aggiunto di fronte alla globalizzazione anche del gusto, apprezzato e molto ricercato per la bontà e qualità dei suoi derivati, dai salumi (che arrivano a costare fino a 60 euro al kg) al ragù, e ha tutte le carte in regola, come la voglia di unirsi ed innovare dei suoi produttori, con un occhio alla formazione, ma anche, aspetto non secondario, la disponibilità di un sostegno da parte delle banche locali (a partire dalla realizzazione di un macello locale che darebbe ulteriore slancio alle attività e un ruolo attivo alle banche), per conquistare i mercati nazionale ed esteri, sfruttando al massimo i canali di vendita, da aggredire sì con la qualità ma anche con la “massa”. Ecco la case history del Suino Nero dei Nebrodi della Sicilia, i cui allevatori e produttori, secondo quanto emerso dall’incontro “Fare impresa nell’agroalimentare: metodi, strumenti e prospettive” nell’Agriturismo Natura Amica a Longi (Messina), che ha messo insieme gli attori principali della filiera, si stanno organizzando per commercializzare tutti insieme i numerosi derivati, apprezzati per bontà e qualità, grazie anche a forme associative ad hoc.

Una filiera che ha numerose frecce nel suo arco: i salumi e i prosciutti (con la possibilità di produrli nel nuovissimo stabilimento di Galati Mamertino del consorzio Terre dei Nebrodi), il ragù, la porchetta (come quella dell’azienda Il Vecchio Carro che ha recentemente riscosso successo a Stoccarda). “L’importante - ha detto il giornalista de “Il Sole 24 Ore”, Nino Amadore, tra i promotori dell’iniziativa - è non avere paura a mettersi insieme, ma seguire modelli virtuosi come quelli emiliani, toscani e trentini”. Altro aspetto da non sottovalutare, secondo Pino Gullo (Legacoop), è il fatto che “i prodotti devono esprimere sempre l’identità del territorio. All’estero piace mangiare italiano e conoscere le tipicità gastronomiche siciliane: solo esprimendo un’identità si possono penetrare i mercati”. Perché, ha evidenziato Pietro Cami, amministratore di una catena di supermercati, “solo con un valore aggiunto identitario un prodotto può competere con quelli delle multinazionali”.

Ma “per valorizzare un territorio - ha sottolineato Melita Nicotra, ricercatrice all’Università di Catania - occorre anche innovare non solo gli strumenti, ma tutto il sistema di produzione. Inoltre, bisogna cavalcare, e non subire, l’onda della globalizzazione intercettando, nel mondo, consumatori intelligenti interessati alle nostre nicchie”. Mercati che vanno aggrediti con la qualità, ma anche con la massa, secondo Gaetano Li Pomi, direttore dell’area commerciale Unicredit di Messina che ha sottolineato, inoltre, come ci sia grande attenzione da parte di Unicredit all’agricoltura: “è il settore dove il tasso di default e di insolvenza in Italia è più basso. Gli agricoltori hanno imparato a gestire i finanziamenti”. Fondamentali diventano anche strumenti come la formazione aziendale “da considerare un investimento e non un costo” ha detto Saverio Leanza (EuroSoluzioni) e coperture assicurative per proteggere le proprie esportazioni, ha affermato Roberto Lio (Atradius), indicando anche una strada: “organizzazioni produttive riescono a fare massa critica con grandi benefici sui mercati nazionali e internazionali. Nel mio lavoro ne ho avuto dimostrazione”. Gli esempi non mancano: Pippo Borrello, presidente del Consorzio Terre dei Nebrodi, ha chiuso il suo salumificio privato per puntare esclusivamente sullo stabilimento di Galati, mentre Antonio Amata della Cooperativa La Terra sta già organizzando i canali di vendita in favore di tutto il territorio.

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