Un tempo tipologia di vino amatissima e quasi dominante, resa prestigiosa anche dal grande apprezzamento testimoniato dalle corti nobiliari di tutta Europa, quella del vino dolce, per mille motivi e cambiamenti legati a stili di consumo, riscaldamento climatico e così via, semplificando al massimo, è una categoria enologica che, da anni, vive un lento declino, nonostante una storia gloriosa e produzioni di eccellenza da tanti territori d’Italia. E quando si parla di bere dolce italiano per eccellenza, soprattutto vicino alle feste di fine anno, il pensiero corre all’Asti Spumante e al Moscato d’Asti Docg. Al centro di un’indagine, realizzata dal Consorzio delle bollicine piemontesi, guidato da Lorenzo Barbero e dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (e presentata nella “Banca del Vino”), che, con uno studio sul campo condotto da 20 studenti sotto la guida del docente nel Corso universitario di “Food Entrepreneurship”, il professor Michele Antonio Fino, ne ha analizzato la percezione ed il mercato secondo un campione rappresentato da quasi 200 osterie della guida Slow Food. Partendo dai dati: se per l’Asti Docg oggi la produzione è poco inferiore ai 50 milioni di bottiglie (dopo il picco di quasi 80 milioni di bottiglie nel 2011) e quella del Moscato d’Asti è intorno ai 35 milioni di bottiglie, per entrambe le tipologie i consumi interni sono in costante calo da anni, mentre crescono le esportazioni, che rappresentano oltre l’80% del mercato.
A livello italiano, emergono poi delle differenze importanti. Nel nord-ovest, dove nascono, Asti e Moscato d’Asti sono consumati soprattutto in celebrazioni e feste, nel Nord-Est vengono dopo, nelle preferenze, rispetto ad altri spumanti come Franciacorta, Trentodoc e Prosecco, ma anche ai vini passiti da Traminer e ai vini dolci del Friuli, come il Picolit, mentre al Centro, quando si parla di vino dolce, si pensa soprattutto al Vin Santo, in Toscana, e ai passiti, nel Lazio, mentre al Sud e nelle Isole, dove dominano i passiti e vini fortificati come il Marsala, il Moscato d’Asti e l’Asti sono pressochè assenti dalle liste dei vini delle osterie campione. Eppure, molti ristoratori cercano di educare i consumatori al consumo dei vini dolci e credono in una rinascita, in particolare, del Moscato d’Asti, e vedono un trend di consumo relativamente basso, per ora, ma stabile. Di contro, dalle voci di molti emerge che il Moscato, e soprattutto l’Asti Spumante, sono percepiti come prodotti “industriali” e da grande distribuzione, ma anche come vini “pesanti” al punto che è difficile venderli a bottiglia. Nel dettaglio, però, il 94,3% dei ristoratori sondati ha vini dolci nella propria lista, con il 62% che registra livelli di consumo stabili, ma anche un 30% che li registra in diminuzione. Ma, nonostante questo, per il 73,7% dei ristoranti hanno un ruolo rilevante in carta, seppure 1 ristoratore su 4 sostiene che potrebbe farne a meno. Tra le motivazioni che spiegano la riduzione dei consumi di vini dolci, il 57,4% del campione segnala la preferenza dei consumatori per amari o altre alternative analcoliche, ma c’è anche un 12,9% che sostiene che manchi una valida proposta di vino dolce, e questo fa riflettere su una mancanza di conoscenza della produzione di qualità italiana. Nel dettaglio, secondo i ristoratori, emerge che, tra i clienti che preferiscono altro, rispetto al vino dolce, come fine pasto, il 32% preferisce un amaro, il 28% un liquore, il 23% del vino secco e il 17% altro. In ogni caso, l’abbinamento che va per la maggiore, per i vini dolci, è quello con il dessert (nel 62% dei casi), seguito dai formaggi (29%), sebbene la maggioranza del campione (il 74%) proponga proprio l’abbinamento tra vino dolce e formaggio.
Ancora, il 33% del campione dichiara di vendere una bottiglie a settimana di vino dolce, il 23% si spinge a 2 ed il 12% a 3 (anche se c’è un 13% che dice di farne girare più di 5), sottolineando come solitamente l’offerta sia al calici e che non a bottiglia, anche perchè il vino dolce non è considerato un vino a tutto pasto. A livello di offerta, ancora, emerge che la maggioranza dei ristoranti del Sud propone vini dolci solo della propria regione, cosa che non avviene al Centro e ancor meno al Nord. Guardando più strettamente al Piemonte, poi, emerge che se i 100% delle osterie sondate ha in carta almeno un Moscato d’Asti, l’Asti Spumante è presente solo nel 19% delle liste. Altro aspetto interessante, che emerge dall’indagine, è che il declino dei consumi di vini dolci non è una questione di prezzo, dato che nessuno ha considerato questo aspetto come un problema. Elemento che fa pensare che il lavoro da fare sia, soprattutto, sulla comunicazione e sul consumo di una tipologia di vini, quella dei dolci, che ancora oggi sa esprimere qualità, territorialità ed eccellenza, come emerso anche dalla degustazione di cinque Asti Docg di annate dalla 2012 alla 2019, guidata da Pietro Stara, di cantine come Marcalberto, Cuvage, Contratto, Cantina Sociale Alice Bel Colle e Gancia, dalle quali, spiega sempre una nota stampa, è emersa “l’eccellente qualità produttiva, i pérlage molto fini di tutti i prodotti, le peculiarità aromatiche che sono emerse in una palette molto variegata, nonostante si trattasse di vini tutti prodotti con 100% di uve Moscato. Sono risultati di grande interesse sia i vini che hanno avuto un lungo affinamento sui lieviti e hanno trovato una sboccatura recente (come nel caso di Gancia, 2012 ma sboccatura 2021) sia i vini che hanno avuto una sboccatura qualche anno fa, dopo un periodo di maturazione sui lieviti meno prolungato (come il MC di Alice Bel Colle, annata 2013 e sboccatura 2015)”. Solo alcuni esempi, nel calice di un mondo tutto da ri-scoprire.
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