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Vini rosati, nel mondo produzione stabile e boom dei consumi. In Italia, però, non sfondano

I numeri del comparto dei rosé nella ricerca “Vino rosato italiano, mercato e trend” di Wine Monitor - Nomisma
ITALIA, NOMISMA, PUGLIA, VINI ROSATI, Italia
Vini rosati, nel mondo produzione stabile e boom dei consumi

I numeri del commercio mondiale di vino raccontano che le importazioni, nel 2018, si mercati storici come quello Usa, o emergenti come quello della Cina, rallentano o segnano il passo. Un trend che, nella piazza di riferimento, quella statunitense, riguarda vini rossi (-1,1%) e vini bianchi (-3,5%), mentre gli sparkling tengono (+4,6%), e i rosati corrono, in un mercato parallelo che lo scorso anno ha segnato una crescita delle importazioni del +23,3%, non a caso media statistica tra il +31% della Francia ed il +17% dell'Italia. Un vero e proprio boom, che nel lungo periodo si traduce, a livello mondiale, in consumi passati dai 21,9 milioni di ettolitri del 2007 ai 23,4 del 2017 (+6,8%, a fronte di una sostanziale stabilità dei consumi di vini fermi), come raccontano i dati raccolti da Denis Pantini, alla guida di Wine Monitor - Nomisma nella ricerca “Vino rosato italiano, mercato e trend”, promossa dal senatore Dario Stefàno e presentata a Vinitaly dalla Regione Puglia.

“I vini rosati - dice a WineNews Denis Pantini - sono il fenomeno del momento, ed in Italia, magari non ai livelli degli Stati Uniti, esploderanno nell'arco di cinque anni, con una crescita ben più alta di quella attuale. Oggi i francesi la fanno da padrone, ed il consumatore, che non ha molte conoscenze, si affida al colore: i pugliesi, da questo punto di vista, se la possono giocare bene, hanno una tradizione di lungo corso di vini autoctoni alle spalle, si tratta solo di investire in comunicazione ed informazione al consumatore, perché quando i Millennials Pink si stancheranno della Provenza si riverseranno sui pugliesi”.

Tornando alla ricerca, l'Italia rappresenta il 10% della produzione mondiale, che ammonta a 20,3 milioni di ettolitri, ben lontana dalla quota della Francia (28%), con la Provenza che, da sola, vale il 5,5% della produzione mondiale, ma anche da Usa (17%) e Spagna (15%). Quadro simile a livello di consumi, dove anzi le distanze si acuiscono: il 36% del rosato viene bevuto dai francesi, il 15% dagli statunitensi, il 7% dai tedeschi ed appena il 5% dagli italiani. Il che vuol dire che è rosa il 32,7% delle bottiglie di vino fermo stappate in Francia, l'11,2% di quelle aperte in Usa, ed appena il 5% di quelle bevute in Italia, la quota più bassa tra tutti i grandi Paesi consumatori. Va da sé che la Francia si riveli così il primo importatore al mondo: dei 10,3 milioni di ettolitri di vini rosati che prendono la via dei mercati, per un controvalore di 2 miliardi di euro, il 32% finisce in Francia, il 13% in Germania, il 12% in Uk ed il 9% in Usa. Primo esportatore è però la Spagna, con una quota del 42%, seguita dall'Italia (16%) e dalla Francia (14%), che è però il top exporter in termini di prezzo medio con 4,44 euro a bottiglia.

Lo studio di Wine Monitor - Nomisma, quindi, si sposta sul mercato dei consumi interni, focalizzandosi sulla Gdo, dove comunque passa la maggioranza degli acquisti enoici: la buona notizia è che in termini di valori venduti siamo passati dai 75,4 milioni di euro del 2016 agli 85,16 del 2018, quella meno buona è che le quantità hanno vissuto una crescita decisamente più limitata, dai 33,16 milioni di litri del 2016 ai 34,06 litri del 2018. I rosati, insomma, non sfondano nel Belpaese, tanto che il 35% dei consumatori non sa indicare la Regione in cui, a suo parere, si producono i rosati migliori. Solo il 7% indica la Puglia (seconda dietro al Veneto, al 9%) che, come ricorda a WineNews il senatore Dario Stefàano, “nel 2007 è stata capofila in Europa nella difesa dei rosati da vitigni autoctoni, impedendo uno scempio come la possibilità di produrre vini rosati mescolando bianchi e rossi. Fu una contingenza, da lì abbiamo messo in campo la nostra intuizione, poi ci siamo adagiati, perdendo un po' di terreno, ma dobbiamo recuperare il nostro ruolo di guida”. Oggi, quindi, la Puglia dei rosati vive una dinamica particolare: dopo aver lanciato la locomotiva ha visto calare i volumi da 5,17 milioni di litri del 2016 a 4,02 milioni di litri del 2018, con i valori in crescita da 10,04 a 10,59 milioni di euro, per un prezzo medio passato da 1,94 a 2,63 euro al litro, superando l'andamento medio dei rosati italiani (da 2,27 a 2,50 euro al litro).

Tornando agli Usa, sul mercato off trade il 46% dei rosati è nazionale (227 milioni di dollari di giro d'affari), il 44% è francese (217 milioni di dollari) ed il 5% è italiano (23 milioni di dollari). In termini di prezzo, la quota maggiore riguarda le bottiglie comprese tra gli 11 ed i 15 dollari (33%), e tra gli 8 e gli 11 dollari (22%), per un prezzo a medio che arriva a 13 dollari per i rosati francesi, a 10 dollari per quelli italiani ed a 7,75 dollari per quelli Usa.

Guardando ai mercati esteri, Lucia Nettis, direttrice dell'associazione Puglia in Rosé, spiega a WineNews come a ben guardare ci siano “potenzialità enormi, partendo proprio dai consumi degli Usa, ma il problema è come approcciarsi, perché la Puglia, unita, può tantissimo, ma bisogna essre veloci, pronti ed aggressivi, essere competitivi con Francia e Spagna, anche perché siamo preparati e competitivi, abbiamo un prodotto di altissima qualità, riconosciuta da un livello di prezzi importanti. Certo, non arriviamo ai 30 dollari a cui arriva qualche etichetta francese, ma suggerisco ai Consorzi di dare risposte rapide”. L'esempio della Puglia, nonostante qualche difficoltà, resta uno standard, forte adesso di un quadro preciso, quello disegnato dai numeri, che, come ricorda Francesco Liantonio, presidente del Consorzio Castel del Monte, “è difficilissimo avere quando si parla di rosati, visto che solitamente sono accorpati ai rossi. Il rosato invece ha la sua identità e la sua personalità, e se pure questi dati non sono confortanti, sono comunque un buon punto di partenza. Noi produttori dovremmo fare mea culpa, perché con il potenziale che abbiamo non siamo stati capaci di difendere le nostre posizioni, specie rispetto alla competizione con i nostri cugini francesi. Senza entrare in competizione, dobbiamo andare a colmare il gap che c'è sul mercato, perché la produzione dei vini rosati pugliesi - aggiunge Liantonio - è talmente varia che deve diventare la nostra forza commerciale. Dobbiamo essere bravi a trasformare questa diversità in una marcia in più sul mercato”.

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