Il consumo mondiale di vino fermo, negli ultimi tre anni, è cresciuto ad un ritmo dello 0,5% l’anno, che si traduce in 250 milioni di bicchieri di vino in più. Un’evoluzione lenta, ma comunque superiore alla media della decade 2007-2017 (+0,2%), vissuta in altalena, che ha portato le vendite complessive da 2,3 a 2,4 miliardi di casse, ossia 1,2 miliardi di bottiglie stappate in più nel volgere di dieci anni. A dirlo sono i dati dell’Iwsr - International Wine and Spirit Record, analizzati da Wine Australia, l’agenzia governativa del vino australiano, che sottolinea come nel decennio precedente (1997-2007), invece, la crescita media annua dei consumi sia stata del +1%. Ma cosa è successo nei dieci anni successivi? Innanzitutto, il mondo ha vissuto un’enorme instabilità economica, figlia della crisi finanziaria globale deflagrata nel 2008; quindi c’è stato un calo dei consumi sia nei Paesi produttori (Italia, Francia, Spagna e Argentina) che nei mercati più maturi (Gran Bretagna su tutti); infine, ultima tendenza emersa, c’è da fare i conti con un certo disamore per il vino da parte dei consumatori più giovani, i famosi Millennials.
In questo quadro, gli acquisti delle bottiglie di basso o medio costo, sotto i 10 dollari, hanno perso lo 0,2% l’anno nell’ultima decade (con la quota di mercato scesa dal 91% all’88%), mentre la fascia dei vini premium, quindi sopra i 10 dollari a bottiglia, ha guadagnato il 3,6% l’anno nello stesso periodo. A cambiare radicalmente, dal 1990 ad oggi, è invece la composizione dei consumi, con un calo generalizzato dei vini domestici, in favore di quelli importati, che vale quasi per tutti: globalmente, il calo medio dei consumi di vini nazionali è sceso dello 0,3% l’anno tra il 2007 ed il 2017 e dello 0,2% tra il 1997 ed il 2007, mentre le importazioni sono cresciute ad un ritmo del 4,9% annuo tra il 1997 ed il 2007 e dell’1,3% tra il 2007 ed il 2017. A livello di prezzo medio, i cosiddetti vini di costo, quindi sotto i 10 dollari a bottiglia, rappresentano il 91% degli acquisti di vino nazionale e l’81% dei vini importati. Anche in questo caso, nell’ultima decade i consumi dei vini locali di basso prezzo sono calati dello 0,6% l’anno, con una crescita della fascia premium del 2,3% annuo. Per quanto riguarda i consumi di vini importati, invece, quelli sotto i 10 dollari hanno guadagnato lo 0,6% l’anno, quelli premium il 5%: due terzi della crescita della fascia alta è legata ai vini importati.
Tornando agli ultimi tre anni, il consumo dei vini domestici ha mostrato flebili segnali di ripresa (+0,1% annuo): merito, principalmente dell’Italia, passata dalle 380 milioni di casse di vino nazionale acquistato nel 1990 alle 244 milioni del 2014, risalendo nel 2017 fino a 256 milioni di casse. Da segnalare anche il recupero (quantificabile in poco più di 4 milioni di casse) di Usa, Romania, Sudafrica e Portogallo. I due mercati principali per l’import di vino fermo sono invece Germania e Gran Bretagna, ma entrambi in calo nell’ultimo decennio: Berlino ha perso 12 milioni di casse, Londra 21 milioni di casse, quasi tutte tra i vini di basso costo. Un calo comunque ben attutito dalla crescita di Cina (+57 milioni di casse), Giappone (+9 milioni di casse), Canada (+8 milioni di casse), Australia (+5 milioni di casse), Brasile (+5 milioni di casse), Usa (+4 milioni di casse) e Polonia (+4 milioni di casse). Un ultimo dato interessante arriva dalla <b<Francia, dove le importazioni, nel periodo 2007-2017, sono cresciute di ben 27 milioni di casse, con i consumi di vini domestici crollati invece di 72 milioni di casse.
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