Investire, per un’azienda, è vitale, in ogni settore. Ma il denaro costa, sempre di più, soprattutto se ad erogarlo sono le banche, in particolar modo di questi tempi, in cui, guardando al vino, in particolare, i consumi sono in frenata, e quindi c’è meno liquidità e meno flusso di cassa, e si arriva da mesi in cui i rialzi dei tassi di interesse da parte della Bce, per esempio, hanno fatto lievitare le rate di mutui e prestiti. Ma oggi la finanza è molto di più del solo sistema bancario, ed esistono strumenti che non solo consentono di investire reperendo capitali in maniera vantaggiosa, ma permettono di farlo addirittura eliminando “costi” per le aziende che derivano, per esempio, dai ritardi nei pagamenti, che, nel vino, hanno spesso tempi molto lunghi, o da strumenti come l’anticipo fattura, che possono essere eliminati. Strumenti come, per esempio, il Factoring od il Reverse-Factoring, possono venire in aiuto, come hanno spiegato, nei giorni scorsi (nel business forum Wine2Wine, a Verona), Massimo Boccoli, consulente finanziario e oggi alla guida dello studio Hoshin, e da Claudio Bergamasco, tra i fondatori di Gate 39, che si occupa di finanziamenti regionali, ministeriali ed europei rivolti principalmente al settore agroindustriale ed agricolo, coordinati da Giovanni Mantovani, già dg Veronafiere e oggi consulente nel settore wine & food.
Dalle analisi sui bilanci di 500 aziende produttrici di vino, di diverse dimensioni, emerge che, negli ultimi dieci anni, sono stati messi in campo 3 miliardi di euro di investimenti in vari settori (macchinari, strutture, vigneti, servizi e così via), coperti prevalentemente con il supporto del sistema bancario. “Ma oggi la finanza delle banche è molto più costosa rispetto al passato, e nei prossimi dieci anni si potrebbero finanziare le esigenze delle aziende in maniera diversa, con strumenti meno onerosi del debito bancario, o con strumenti innovativi per fare investimenti anche maggiori, come, appunto, il Factoring ed il Reverse factoring”, ha spiegato Boccoli. Il factoring, in particolare, è quel processo per cui un azienda vende ad un soggetto terzo tutti i crediti, ovvero le fatture, che deve incassare dai clienti. E pagando sostanzialmente una piccola commissione agganciata al tasso di interesse dei prestiti, l’azienda ha il vantaggio di incassare tutto subito, aumentando immediatamente la propria liquidità, senza doversi occupare più dell’eventuale “recupero crediti”, azzerando, quindi, il rischio di “insoluti”, e senza dover ricorrere a strumenti onerosi come l’anticipo fattura o i prestiti bancari veri e propri per coprire il periodo tra cui emette la fattura e quando la incassa. E vale anche il contrario, ovvero il Reverse-Factoring, con i fornitori dell’azienda che, attaverso il “factor”, incassano prima il debito che hanno con l’azienda. Il risultato? “Nella situazione classica - ha spiagato Boccoli - se l’azienda paga a 60 giorni e incassa a 90, ha 30 giorni da finanziare. Con il factoring l’azienda incassa “a 0 giorni”, ed i fornitori che cedono i loro crediti al factor, incassano subito ma è come se l’azienda li pagasse a 180 giorni. E quindi l’azienda, in sostanza, si autofinanzia per 6 mesi”.
“Dalla nostra analisi - spiega ancora Boccoli - emerge che il 49% delle aziende ha debiti bancari rimborsabili da 3 anni in su. E, quindi, ci sono tante aziende con un indebitamento importante. Le aziende di questo campione hanno 1,9 miliardi di euro crediti da incassare, e fatturano 8,7 miliardi di euro. Le aziende grandi, in proporzione al fatturato, hanno crediti per il 16% del loro fatturato, quelle micro del 32%, come a dire che più sei piccolo e più ti pagano a lungo termine. Solo il 5% delle aziende incassa a 30 giorni, il 16% a 2 mesi, e poi il 27% a 3 mesi, il 21% a 4 mesi, il 30% oltre i 4 mesi. In pratica, il 70% delle aziende incassa da due mesi in avanti. E le aziende piccole sono quelle che hanno più bisogno di credito perchè incassano più tardi. Ancora, a fronte di 2 miliardi di crediti, ci sono 2,5 miliardi di debiti con le banche: quindi, se non avessi crediti da riscuotere, avrei l’80% di debiti in meno con il sistema bancario. Dai dati emerge che le aziende più piccole sono più esposte a breve termine, le aziende più grandi a medio termine. E le piccole si finanziano di più, e quindi pagano di più il denaro, per finanziare i mancati incassi, mentre le grandi utilizzano gli strumenti bancari per finanziare soprattutto gli investimenti. Dall’altro lato, emerge che le aziende medio grandi pagano i fornitori prima delle aziende più piccole, e le piccole pagano più tardi perchè incassano più tardi. Il 62% delle aziende, infatti, paga a 120 giorni, il 13% tra 90 e 120), l’11% tra 60 e 90, e via via a scendere”.
Ma, al di là dei numeri, che raccontano una situazione che tutte le imprese della filiera vivono quotidianamente, emerge che “se queste aziende vendessero in massa i loro crediti da incassare ai factor, pari a 1,9 miliardi, avrebbero chiuso il 76% dell’indebitamento con le banche, e avrebbero un beneficio di cassa per 380 milioni per le aziende già liquide, di 706 milioni di euro per quelle con debiti a 3 anni, e per oltre 750 per quelle con debiti tra 3 a 6 anni e così via. Ed il reverse factoring con i fornitori genererebbe altri 1,6 miliardi di euro di cassa. In sintesi, con questi strumenti, il 49% delle aziende che oggi sono “non liquide”, con debiti da 3 anni in su, si ridurrebbero al 18%. In sostanza, ci sarebbe molta più cassa, per chiudere debiti e finanziare crescita”. E, se a questi strumenti “privati”, si aggiungono anche i benefici di linee di finanziamento previste da fondi pubblici, il quadro potrebbe migliorare ancora, come ha spiegato Claudio Bergamasco.
“Oggi esistono strumenti come i “Contratti di Sviluppo”, prima in capo al Ministero dello Sviluppo Economico, oggi al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, e gestiti anche attraverso Invitalia (società del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ndr), che, in tanti settori, e soprattutto quello della trasformazione agricola, finanziano grandi progetti, visto che l’importo minimo dell’investimento, per il settore, è di 7,5 milioni di euro, ed è finanziato in tempi molto lunghi, da 3 a 6-7 anni, in maniera agevolata. Anche contributi a fondo perduto, con percentuali diverse (anche fino al 70%) per aree di investimento e dimensioni di impresa, per voci come l’aumento del suolo aziendale, realizzazione di opere murarie, acquisto di macchinari impianti, attrezzature, programmi informatici, per brevetti, licenze, e spese come consulenze o direzione di lavori”.
Chiaramente, per accedere a questi finanziamenti, servono progetti e relazioni per la fase di istruttoria, precisi e puntuali, capaci di dimostrare i benefici del progetto, e quindi dell’eventuale finanziamento, per l’azienda e per il contesto in cui opera. Ma, al netto di questo, ha aggiunto Bergamasco, “se torniamo ai 3 miliardi di investimenti negli ultimi 10 anni coperti tutti con i prestiti bancari, è evidente che investire così diventa sempre meno sostenibile. Se, invece, il tutto si gestisse con il factoring, che chiameremo “working capital”, abbinandoci dove possibile lo strumento Invitalia, anziché aver coperto questi 3 miliardi con mezzi propri o banche (80%), succede che l’80% dell’investimento si va a coprire metà con il factoring (40%) e metà con lo strumento di Invitalia (40%), e solo il 20% con il debito bancario, senza, di fatto, mobilitare mezzi propri, ovvero senza intaccare il circolante. Che, in generale, va gestito meglio, perchè è come una spugna: se lo “strizzi” genera liquidità, se lo lasci fermo si gonfia e assorbe liquidità”. E generare liquidità, senza assorbirla, è quello di cui le aziende, del vino e non solo, hanno decisamente più bisogno.
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