Sul mercato mondiale del vino che verrà, le etichette francesi restano imprescindibili, ma subito dietro ci sono quelle tricolore, destinate a guadagnare terreno soprattutto in Canada e Cina, mentre Spagna e Cile continueranno a puntare sulla leva del prezzo e nella top 3 delle categorie più performanti spunta il bio, con Prosecco e Cava ancora apprezzatissimi, e lo Chenin Blanc che si fa largo tra i grandi vitigni internazionali a partire dalla conquista degli Usa. Ecco, in estrema sintesi, le tendenze previste per il 2020 dal Wine Trade Monitor 2018 di Sopexa, che ha raccolto il punto di vista dei professionisti del settore (importatori, agenti, grossisti, distributori e pure player dell’E-commerce) di sei Paesi chiave per il commercio enoico, Belgio, Stati Uniti, Canada, Cina, Hong Kong e Giappone.
Come detto, i vini francesi restano imprescindibili per 9 professionisti su 10, seguono i vini italiani (76%) e spagnoli (71%). Parallelamente, acquistano importanza Cile, Australia e Stati Uniti, indicati dal 45 al 56% degli operatori. E se l’Italia viene indicata dal 41% degli operatori tra i Paesi d’origine le cui vendite progrediranno maggiormente da oggi al 2020, per un operatore su due, nel 2017 e per i prossimi due anni, la Francia mantiene ancora il suo vantaggio, in particolare negli Stati Uniti, Hong-Kong e Belgio. L’indagine mostra però anche una relativa fragilità dei vini francesi sui mercati cinesi e canadesi, dove saranno sempre più messi in difficoltà dai vini italiani. Ed è proprio in Canada che le etichette tricolore ottengono il miglior risultato: il 56% degli operatori gli attribuisce un posto nella top 3 delle origini che incrementeranno maggiormente. E secondo quanto indicato dal 42% degli intervistati, guadagnano in termini di visibilità anche in Cina, dove fanno la loro entrata tra i tre migliori aumenti di vendite previste da oggi al 2020.
In generale, e per il 64% dei partecipanti all’indagine, è ancora l’origine Francia che riporta la migliore performance, distanziandosi nettamente dai suoi concorrenti, nonostante una perdita di valore dell’immagine francese in Cina e in Canada. La Spagna e il Cile si distinguono per quanto riguarda i parametri de “l’attrattività dei prezzi” e de “i vini per tutti i giorni”, davanti all’Italia che, invece, sembra riportare buoni risultati nell’ambito “innovazione”. Spostando l’attenzione sulle diverse categorie, i vini bio per la prima volta sono nella top 3 dei più promettenti (per oltre il 35% degli operatori (escluse Cina e Hong Kong). La denominazione regionale continua a far vendere e resta globalmente il criterio di valorizzazione maggiore previsto da oggi al 2020. La categoria dei rosé continua a crescere in Nord America per più di un professionista americano su 4 e più di un canadese su 2.
Tra le regioni destinate a guidare i mercati internazionali, al top ancora le quattro regioni leader della produzione rossista di Francia, Bordeaux, Linguadoca, Côtes du Rhône e Borgogna, ma si impongono ovunque anche i vini bianchi di Marlborough (Nuova Zelanda), eccetto in Belgio, nella top 2 dei più promettenti, mentre la Loira ha conquistato gli americani. Ottimi risultati per i vini rosé della Provenza e della Corsica, che il 63% degli operatori indica nella top 3 delle vendite future dei rosé, mentre tra le bollicine le più attese sono sempre Prosecco e Cava. In termini di varietà, la classifica dei 4 vitigni classici rimane stabile (Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Pinot Nero, Merlot), con il successo dello Chenin Blanc negli Stati Uniti che potrebbe essere l’elemento di punta di una nuova tendenza da monitorare. Infine, una panoramica sul packaging, con i Paesi asiatici che restano particolarmente legati al vino in bottiglia: il 66% degli operatori asiatici prevede la più alta crescita per i formati mezza bottiglia e altri piccoli formati. I formati alternativi aumenteranno in Nord America: più del 40% punta sul Bag in Box e sulle lattine. Ben accolte nei Paesi asiatici, i packaging e le etichette smart non convincono l’America del Nord: il 75 % dei professionisti giapponesi intervistati e il 54% dei cinesi indicano che sono una risorsa per rassicurare il consumatore iperconnesso sull’autenticità e la tracciabilità del prodotto.
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