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VINO & ECONOMIA

Veseth e il mercato del vino tra globalizzazione, mercificazione, rivincita “terroir-isti”

L’economista e firma di “The Wine Economist” racconta sfide, opportunità, rischi e (possibili) soluzioni nel business enoico globale
MIKE VESETH, THE WINE ECONOMIST, Italia
L’economista Mike Veseth, firma di “The Wine Economist”

“Il vino è arte, è scienza, è un prodotto delizioso ma è anche un business, quindi chi fa vino deve porsi importanti domande sull’economia interna, sul commercio internazionale, sui tassi di cambio. Non solo: deve essere consapevole di agire in un mercato globale e agire in modo efficace all’interno di esso”. Come? Tenendo presente 3 dinamiche di cambiamento che muovono questo business: la globalizzazione, la mercificazione e l’autenticità. E trovando il proprio approccio a questi cambiamenti tra il seguire i mercati più appetibili, puntare sulle categorie di prezzo più elevate, creare un brand o investire sull’identificazione del consumatore sul prodotto. Sembra semplice la ricetta presentata da Mike Veseth, economista e firma di The Wine Economist, ospite nei giorni scoris a “VinoVip al Forte” con Civiltà del Bere.
La parola chiave per capire un mondo complesso come quello del vino è, secondo Veseth, la “globalizzazione”. Il vino è sempre stato un prodotto globale legato alla combinazione tra trasporto, economia politica e politiche commerciali, dovuto al rapporto tra il posto in cui sono i consumatori e quello in cui si trovano i produttori. Chi fa vino entra, volente o nolente, in un commercio globale: anche se la produzione e il commercio di un’azienda è locale, la competizione si gioca su una piattaforma mondiale di vini. Ma come funziona questo mercato globale e le sue dinamiche di cambiamento? Veseth ha semplificato la complessità in 3 semplici dinamiche che sono legate tra loro: la prima è la globalizzazione spinta dal denaro, la seconda è la mercificazione (lo sviluppo di vino base e vino di marca), la terza è la cosiddetta “vendetta dei terroir-isti”, legata all’autenticità del prodotto.
La globalizzazione dà l’opportunità a tutti i produttori di vendere il loro vino in tutto il mondo: mercato globale, distribuzione globale, trasporto globale e competizione globale. Si forma una sorta di equilibrio tra opportunità e competizione, non solo per le aziende ma anche per i consumatori. “Un’occasione può però creare il “paradosso della scelta”: se la scelta è troppo ampia, infatti si rischia di non scegliere nulla. I consumatori si confondono - spiega Veseth - e spesso escono dai negozi senza aver comprato nulla. Una soluzione è sviluppare brand efficaci. La brandizzazione per il consumatore è comoda perché si ricorda facilmente e perché economizza sulla fiducia: non devo aver fiducia nell’annata, nella varietà o nella regione, ma solo nel brand”.
Ma bisogna agire cautamente con i brand perché possono creare un mercato e pure intrappolare in quel mercato. Einstein diceva: “Ogni cosa deve essere reso il più semplice possibile, ma non troppo semplice”. Per il vino significa che deve creare qualcosa in cui il consumatore può riconoscersi, ma se si semplifica troppo la mercificazione diventa assenza: quella bottiglia non è più considerata vino. Si è talmente svuotata di significato che può essere sostituito dalla birra, dai cocktail. “Qual è l’antidoto per la iper-semplificazione (o iper-mercificazione)? È l’autenticità: appunto la rivincita dei “terroir-isti”. Soddisfare il desiderio dei consumatori di vino di avere un’esperienza significativa, naturale, culturale. Il bisogno di possedere qualcosa di vero è fortissimo, in un mondo pieno di finzione”. Non solo per il vino. Sempre più prodotti vengono creati e pubblicizzati da posti specifici, riconoscibili: dal caffé alla birra, dalle ostriche alla vodka.
Esistono 4 elementi, secondo Veseth, che possono aiutare i professionisti del vino in questo processo di approccio al mercato globalizzato: innanzitutto, seguire il mercato: dove sta crescendo?. Non solo in riferimento alla quantità, ma soprattutto per valore. I mercati maggiori al momento sono Cina e Stati Uniti, due mercati immaturi da conquistare: bisogna essere primi, veloci e molto efficaci nell’azione. Il secondo elemento è la “premiumization”: dopo la crisi finanziaria del nuovo millennio il successo indeterminato dei vini a basso prezzo sembrava dato per certo. Invece è successo il contrario: sono i vini di valore che stanno guadagnando mercato perché le persone sono disposte a sacrificare la quantità per la qualità. “Il segmento di mercato dei rosati, ad esempio, è quello che sta più crescendo negli Stati Uniti: +60% in un anno. Ma al suo interno - precisa Veseth - i vini più venduti sono quelli più costosi, dai 15 ai 18 dollari. Un errore da evitare nel mercato statunitense ora è di entrare con prezzi troppo bassi”.
Il terzo elemento è il ritorno dei brand, che riempiono settori di mercato verso cui si dirigono i consumatori se si offrono loro prodotti attraenti. Non necessariamente autentici. L’attenzione delle aziende si dirige principalmente verso i Millennials, che cercano prodotti sempre nuovi, attraenti e costosi. Ma cosa li attrae? L’identificazione, ecco il quarto elemento. Un esempio interessante che riporta Veseth è il caso del vino australiano “19 Crimes”: “un Syrah dolce creato con cura appositamente per maschi Millennials che si sentono al di sopra della legge. L’etichetta raffigura un uomo triste deportato in Australia per un reato commesso, reato che si trova scritto sul tappo del vino. Inoltre l’etichetta è associata ad un’applicazione per cellulare che ti permette di vedere il galeotto che racconta la sua storia. Quindi l’esca della tecnologia per creare identità”. Quasi 20 milioni di bottiglie vendute nel 2017.
Insomma, mercato, premiumizzazione, brandizzazione e identificazione sono le aree verso cui pare stia andando un mercato caratterizzato da globalizzazione, mercificazione e autenticità. “Bisogna pensare a chi è il consumatore di riferimento, quale nicchia di consumatori si vogliono raggiungere e come si vogliono raggiungere: ad esempio - conclude Veseth - inducendoli ad usare i social media per aiutarci a vendere il nostro vino ai loro amici. Quale di queste tendenze prenderà il sopravvento? Personalmente spero sia il segmento dell’autenticità, ma temo sia più il vino dell’uomo triste”.

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