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LO SCENARIO

Da una parte la fame, dall’altra gli sprechi. Slow Food: il sistema alimentare dominante è follia

La denuncia, per la Giornata mondiale dell’Alimentazione, indetta dalla Fao, di scena domenica 16 ottobre
CIBO, GIORNATA MONDIALE ALIMENTAZIONE, SLOW FOOD, Non Solo Vino
Il 16 ottobre si celebra il “World Food Day 202” (ph: Fao)

Il cibo oggi pare essere dappertutto: da un lato se ne produce in quantità sufficiente a sfamare 12 miliardi di persone, dall’altro - secondo i dati Fao - tra 702 e 828 milioni di individui patiscono la fame. In mezzo a questi due opposti c’è il dato sullo spreco alimentare: quasi un terzo del cibo viene gettato via senza essere consumato. E Slow Food, come fa da tempo, denuncia le assurdità che caratterizzano il modo attuale di produrre e consumare cibo per la Giornata mondiale dell’Alimentazione, di scena domenica 16 ottobre.
“La giornata mondiale dell’alimentazione non può che fare perno sul tema dell'equità: viviamo in un’epoca in cui ancora si muore di fame. E una constatazione tanto insopportabile diventa ancora più odiosa quando si chiarisce che non si muore di fame per scarsità alimentare ma per povertà. È la povertà a determinare la negazione del diritto alla sopravvivenza - sottolinea Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia - e il sistema alimentare dominante, oggi, è lo specchio di un mondo che ragiona all’incontrario, che agisce sulla base dei profitti invece che dei diritti, che promuove lo sfruttamento invece che il benessere. Quello che ha a che fare con la produzione di cibo è un settore che raccoglie ingenti investimenti, ma che non produce ricadute economiche sugli anelli più deboli della catena, su coltivatori e allevatori di piccola scala, e che lascia morire di fame decine di milioni di persone”.
I metodi di produzione di cibo oggi maggiormente diffusi impoveriscono le risorse invece di tutelarle: agire in questo modo significa correre a velocità folle verso l’autodistruzione, perché, di questo passo, non sarà più possibile coltivare in suoli sempre più poveri, pescare in acque sempre più calde e inquinate, portare al pascolo gli animali in aree montane abbandonate e aride. L’industria del cibo non ha più legami con i luoghi né con le stagioni. Da dove arriva ciò che portiamo in tavola? Da luoghi invisibili, o da non luoghi come gli allevamenti intensivi nascosti dentro a capannoni lontani dagli occhi dei consumatori. L’agroindustria sforna frutta e verdura in enormi campi monocolturali, ottenuta da semi che sono gestiti e venduti da una manciata di multinazionali che, per inciso, sono le stesse che mettono in commercio i fertilizzanti e i pesticidi. Oppure da qualche altro angolo del mondo, come la guerra in Ucraina ha reso evidente anche ai più distratti.
E proprio le conseguenze delle tensioni internazionali hanno innescato una spirale di inflazione che sta avendo - e avrà sempre di più - gravi conseguenze sulla sicurezza alimentare dei meno abbienti: la ridotta disponibilità economica delle famiglie le spingerà a privilegiare alimenti a basso costo, che spesso sono quelli meno salubri e meno nutrienti ma che nascondono le ingiustizie più gravi, come lo sfruttamento della manodopera o il ricorso alla chimica. La sovranità alimentare non è un’utopia, secondo Slow Food: ci sono milioni di attivisti e simpatizzanti in tutto il mondo che lottano per mantenere i semi nelle mani di chi produce il cibo, che combattono il land e il water grabbing, che allevano in maniera consapevole e rispettosa degli animali. Non è un’utopia, ma i giganti che spingono per cancellare tutto questo sono sempre più grandi.“Promuovere un sistema alimentare sano richiede un investimento: più che quello economico - una vera transizione ecologica, in questo senso, sarebbe in grado di assicurare velocemente un ritorno in termini di lavoro, salute e sicurezza - occorre un investimento in volontà. Volontà di chi ha il compito di governare l’Italia o di rappresentarla in Europa: senza lasciarsi tentare dai luccichii dell’agroindustria, dell’editing genetico e degli Ogm, dalla chimica di sintesi o dall’illusione che la crisi ambientale si risolva solo attraverso la tecnologia. Servono volontà e competenza, capacità di ascoltare e farsi ispirare da chi il cibo lo produce per nutrire, non per arricchirsi a discapito di qualcun altro” conclude la presidente Barbara Nappini.

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