Più che una degustazione è un'esperienza, più che un wine tasting è la conoscenza dei terroir d'eccellenza, è il racconto dell'Italia del vino: l'invito arriva dalle tenute che fanno capo alla famiglia Zonin che, nella vetrina internazionale del VinItaly (Verona, 11/15 aprile), ha deciso di far "assaggiare" a giornalisti, buyers ed esperti una sintesi delle sue produzioni d'eccellenza. Il meglio di Zonin in bottiglia si trova condensato nella linea Gianni Zonin Vineyards, ma stavolta il cavalier Gianni Zonin - il massimo produttore di vino in Italia - e Franco Giacosa - il winemaker che ha dato una nuova impronta qualitativa alle produzioni della famiglia di Gambellara - hanno deciso di accompagnarci in un ideale tour del meglio dell'Italia in cantina. Regalando anche una "sorpresa" che testimonia l'impegno delle aziende della famiglia Zonin a difesa e valorizzazione degli autoctoni.
Partiamo dunque dal Nord-Est, da quel territorio del Friuli, concentrato nella Doc Aquileia, che i critici cominciano a chiamare l'altra Maremma. Così come il terroir emergente toscano è l'alternativa qualitativa alle grandi Doc di quella regione, così il terroir Aquileia si pone in rapporto al Collio e ai Colli Orientali - le denominazioni di punta del Friuli - come una variazione interessante sul tema della qualità. Come la Maremma questo terroir ha forte insolazione, è prossimo al mare, ha terreni scistosi e ricchi di silicio capaci di dare una decisa impronta minerale ai vini. Di natura alluvionale come quelli di Bordeaux e come quelli della pianura maremmana. E da questo terroir arrivano il Refosco dal Peduncolo Rosso e il Sauvignon prodotti dalla Tenuta Ca' Bolani. Il Refosco è un must del Friuli in cantina: il solo autoctono insieme al Picolit capace di raccontare la storia viticola del Nordest senza soluzione di continuità. È un rosso di medio corpo, dal frutto intenso con ricordi di mora e di viola. Quello presentato in degustazione conosce affinamento di 6 mesi in grandi legni di Slavonia e ulteriori 4 mesi di bottiglia per arrotondare i tannini senza mortificare la freschezza del vino. È un rosso in prepotente ascesa in forza della sua personalità. Il Sauvignon (è il solo alloctono presentato in degustazione a VinItaly) è ormai da considerarsi un vitigno di casa in Friuli dove è arrivato dal Bordeaux agli inizi dell'Ottocento. A Ca' Bolani è prodotto con rese bassissime (70 quintali/ettaro) con affinamento solo in vetro. Ha un bouquet complesso di sambuco e pesca e una leggera venatura aromatica. Grande vino da pesce e da aperitivo. Ma un tour dell'eccellenza vitivinicola interpretata dalla famiglia Zonin non può prescindere dal Piemonte. Ed ecco la seconda tappa di questa degustazione che ci porta in Piemonte, alla Tenuta Castello del Poggio per incontrare un vino che è l'emblema del Piemonte in bottiglia: la Barbera. Smessi i panni della tradizione la Barbera ha dimostrato di essere vino di personalità spiccata, profondo, mutevole, importante ed elegante. Le cure di Giacosa lo hanno trasformato da semplice Barbera in Masarej (termine piemontese che indica il complesso agricolo della cascina). Il Masarej è Barbera in purezza (la resa del vigneto è di 50 quintali per ettaro). Completata la malolattica, la Barbera passa per un anno in piccoli legni, poi si armonizza ancora per 8 mesi in vetro. Ne emerge un rosso potente, armonico, avvolgente e caldo. Il finale è da Oscar con una nota ammandorlata e lievemente amaricante. Barbera tipico che racconta panorami monferrini ma che esalta l'eleganza della moderna vinificazione. E dal Piemonte, eccoci nell'altro terroir d'eccezione d'Italia: il Chianti. E precisamente in una delle più belle dimore e aziende vitivinicole di Toscana: Castello d'Albola. Qui si celebra il Sangiovese nella sua massima espressione. Che in etichetta si traduce: Le Ellere. In degustazione va una bottiglia che a buon diritto è stata definita un cru dei cru del Chianti. Nasce dalla vigna “Le Ellere” di Castello d'Albola e il suo nome è l'esaltazione della tradizione: l'ellera è in toscano l'edera che cresceva sui muri a secco che dividevano il vigneto. È un Sangiovese che matura su terreni galestrosi con un’escursione termica fortissima e un andamento pedoclimatico che impone alla vite continuo “stop and go” vegetativi: ideale per esaltare il bouquet. Raccolto molto maturo il sangiovese (resa per ettaro 60 quintali) viene affinato per metà in barriques di Allier e per metà in grandi legni di Slavonia per un anno. Fatto il taglio l'affinamento procede per altri otto mesi in vetro. Il vino ha un'impronta decisa di mammola, sottofondo di mora, sfumatura di iris (il giglio è o no l'araldo di Toscana?) tannini morbidi ma presenti, avvolgenza al palato dove si presenta caldo e di nerbo, con un finale lungo e lieve sensazione amaricante. Quando si dice l'eleganza. Il nostro tour non poteva arrestarsi di fronte alla forza del Sud, alla sua inarrestabile ascesa qualitativa, di cui oggi a pieno titolo è protagonista la famiglia Zonin.Debutta al Vinitaly - e la degustazione che andiamo illustrando sarà una sorta di "prima assoluta " - il Nero d'Avola "Deliella", prodotto nei nuovi tenimenti nisseni della famiglia Zonin: il Feudo dei Principi di Butera, nel cuore della Sicilia. È questa bottiglia la dimostrazione di quanto immenso possa essere il Nero d'Avola se coltivato (qui nasce in un clima caldo con una resa di soli 45 quintali/ettaro su terreni marnoso-argillosi-silicei) e vinificato con la massima attenzione. Franco Giacosa lo ha interpretato con mano soft: fermentazione e macerazione per 8 giorni consentono di estrarre il massimo senza sovraccaricare il bouquet. Poi l'affinamento per metà in barriques di Allier e di Troncais e per metà in grandi legni di Slavonia ha il compito di arrotondare l'esuberanza del Nero d'Avola aggiungendo leggere note di tabacco e di liquirizia ma senza sovrastare il floreale di mandorlo, il frutto di ciliegia matura. Il vino è caldo, naturalmente concentrato, personalissimo, solare, di un'intensità cromatica che stupisce per densità e brillantezza. Il finale è "eterno" con un leggera nota di liquirizia che accompagna il palato verso una perfetta pulizia. Ed ora con un ideale ponte qualitativo sbarchiamo negli Stati Uniti. Gianni Zonin ha voluto regalare al Nebbiolo, un palcoscenico mondiale. Così nella Tenuta di Barboursville Vineyards (monumento nazionale per gli statunitensi visto che qui passò le ore più liete il presidente Thomas Jefferson) ha impiantato un piccolo vigneto di Nebbiolo che si chiama "Goodlow MountainVineyard" perchè è a ridosso della montagna e dalla montagna riceve arie fresche che affinano il bouquet. Le uve sono portate a maturazione piena e vendemmiate quasi a novembre. Dopo la fermentazione la malolattica e l'affinamento sono svolte in barriques di Allier e al compimento di un anno il vino passa in vetro per altri sei mesi. È destinato - come tutti i Nebbioli - ad essere longevo, ma degustato all'impronta offre corredo di frutto rosso, note vanigliate, struttura robusta e contemporaneamente finezza. Sarà un'esperienza davvero interessante scoprire come un autoctono italiano possa adattarsi splendidamente ad un terroir così lontano, subendo una piccola variazione di timbro. Il tour del meglio dell'Italia in vigna termina qui. Ci lascia un'esperienza in più e la conferma che Gianni Zonin sta perseguendo con grande determinazione e altrettanta capacità due obbiettivi: un importante miglioramento qualitativo e soprattutto la difesa e valorizzazione dei vitigni autoctoni e dei nostri terroir d'eccellenza. Degustare per credere.
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