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GRAN PARTE DELLE IMPRESE AGRICOLE ITALIANE DICHIARANO REDDITI MINIMI O ADDIRITTURA ZERO? TUTTO NORMALE, LA LEGGE LO CONSENTE. NICOLA CAPUTO, CONFAGRICOLTURA: “IL REDDITO, SPECIALMENTE SE L’IMPRESA È PICCOLA, VIENE CALCOLATO SU BASE CATASTALE”

Gran parte delle imprese agricole italiane dichiarano redditi minimi o addirittura zero? Tutto normale, la legge lo consente. Il reddito, specialmente se l’impresa è piccola, viene calcolato su base catastale, secondo criteri e tariffe previsti dallo Stato, che partono da livelli già di per sé relativamente bassi, come ci spiega Nicola Caputo, responsabile dell’ufficio tributario di Confagricoltura, che abbiamo intervistato per capire meglio il tema dell’inchiesta pubblicata dal settimanale Panorama nella copertina dell’ultimo numero, dal titolo “Gli italiani a reddito zero”, con particolare riferimento al settore agricolo.
“In agricoltura - dice Caputo - tra andamenti positivi e negativi, e soprattutto a causa delle piccole dimensioni della maggior parte delle imprese italiane (il 90% sono imprese individuali), c’è più convenienza ad avere un reddito che si chiama “medio ordinario”, stimato appunto sulla dimensione, perché lo Stato sa che ogni anno si dichiara un tot, e su quel tot prende le imposte. Se fosse applicabile un sistema analitico, la sorpresa sarebbe che molte aziende, specialmente se di piccole dimensioni, avrebbero dichiarato redditi negativi, altro che reddito zero”.
“Per il 90 per cento le imprese agricole italiane sono imprese individuali - aggiunge Caputo - e le imprese individuali dichiarano redditi a fini Irpef, e ai fini Irpef ci sono tutte una serie di misure che si aggiungono al reddito di impresa, di detrazioni e deduzioni, che riguardano il soggetto in quanto tale e che possono abbassare il reddito”. Quindi se la persona sostiene spese mediche, ha i figli a scuola, aggiunge gli oneri deducibili ed altre misure, ci sono casi in cui il reddito può anche arrivare ad essere nullo, “ma partendo dal presupposto - sottolinea Caputo - che quel reddito era già minimo a monte”.
Quindi sono le dimensioni a contare, e non il tipo di coltura, più redditizia o meno, che si coltiva, anche, o il territorio se “ci sono aree in cui c’è una coltura intensiva - precisa Caputo - e lì lo Stato interviene con una tassazione diversa, ancorché forfetaria, e poi per certe attività, come la prestazione di servizi in agricoltura, c’è anche la contabilità. Ci sono colture intensive a maggiore redditività, come le serre e gli allevamenti, che sicuramente dichiarano redditi”.

Anche per il vino valgono le stesse regole: a contare sono le dimensioni dell’azienda.
Qualcuno quindi troverà la cosa del tutto normale, altri invece grideranno allo scandalo vedendo proprietari di imprese agricole individuali avere tenori di vita che di certo non sono da reddito zero... Ad ogni lettore la sua interpretazione, e come dicevano i latini, dura lex sed lex.

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