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AGRICOLTURA, CROCE E DELIZIA DELL’ITALIA DI OGGI. I SUOI SUCCESSI SONO SEMPRE SBANDIERATI PER ESALTARE L’IMMAGINE DEL BELPAESE, MA NELL’AGENDA POLITICA, È SPESSO MARGINALE. PERCHÉ? LO SPIEGA A WINENEWS L’EX MINISTRO DELL’AGRICOLTURA CALOGERO MANNINO

Non Solo Vino
Calogero Mannino

Agricoltura, croce e delizia della bella Italia di oggi. I suoi successi sono sempre sbandierati per esaltare l’immagine del Belpaese, ma poi, nell’agenda politica, è spesso marginale, se non vera e propria merce di scambio. Una tendenza più di oggi, che del passato. Una visione confermata da Calogero Mannino, Ministro dell’Agricoltura negli anni della Prima Repubblica, per due volte, una dal 1982 al 1983, l’altra dal 1988 al 1990 oggi produttore di vino a Pantelleria, con la cantina “Abraxas”, e tra i padri della “legge 164”, per anni la guida del vino italiano. “L’agricoltura italiana è importante oggi - spiega a WineNews - ma nel Pil si trova che il suo spazio si è notevolmente ridotto, e ha perso anche peso specifico sul piano politico. Le grandi organizzazioni agricole, una volta, anche Confagricoltura, Coldiretti, Cia, avendo alle spalle dei partiti popolari, erano decisive. Oggi sono diventate ragionevolmente professionali, largamente distanti dalla politica, e quindi meno in grado di incidere. E quindi tutta l’agricoltura è diventata di minor peso politico, e questo è un male, perché l’agricoltura non è solo la dimensione produttiva di un prodotto; è l’insieme delle azioni degli uomini, e quindi delle politiche, con cui si preserva il territorio, si crea quella saldatura tra gli uomini e la natura, la campagna e il cibo, l’ambiente”.

Le piacerebbe, dunque, un’Italia in cui l’agricoltura tornasse ad avere un ruolo centrale anche nella politica, ad avere maggiore dignità ed interesse?
“Io credo che l’Italia non dovrà mai rinunciare all’agricoltura. Quando osservo un fenomeno che si sta intensificando in questi anni, la perdita di superficie agricola nella Pianura Padana, mi rattristo; quando guardo l’abbandono dell’Appennino, mi rattristo; quando guardo larghe zone della Sicilia, dove una volta si coltivavano cereali a bassa produttività e redditività, oggi desertificate, mi rattristo. Perché questo è un modo con cui intanto si finisce lentamente col subire la propria dipendenza da produzioni agricole da altri Paesi e continenti, e qui non c’è nessuno scandalo, perché è anche giusto che continenti come l’Asia l’Africa siano diventati, in alcuni Stati, esportatori netti o di cereali o di riso. Io sono stato Ministro dell’Agricoltura quando Madre Teresa di Calcutta mi veniva a trovare perché mandassimo in India il riso per aiutare i poveri. Oggi l’India è autosufficiente, la Cina lo stesso. Il mondo cambia, ma questo non significa che l’Italia possa rinunciare alla sua agricoltura, la possa deprimere e abbandonarla, perché c’è una ragione di sicurezza e di autosufficienza alimentare che non va mai dimenticata, e anche perché il territorio è l’elemento decisivo del paesaggio, da cui è passata la ricostruzione dell’Italia”.

Focus - Da Ministro a produttore di vino: le difficoltà da amministratore pubblico e quelle da produttore privato

“Non ci sono differenze, nel senso che ci sono problemi e guai in tutte e due i campi. A volte sono di segno coincidente, a volte di segno diverso, hanno un ottica diversa. Il Ministro deve avere l’occhio attento alla realtà complessiva, deve guardare la viticoltura in Sicilia, ma anche a quella del Friuli Venezia Giulia, a maggior ragione quella del Piemonte e così via di tutte le realtà italiane, e deve disegnare linee politiche, mai facili o semplici, che valgano per tutti. Il produttore ha un’ottica che non è minore, perché è a “cerchi concentrici”: deve guardare prima di tutto alla propria realtà, per affrontarla, gestirla, indurla all’evoluzione, al miglioramento. Poi il cerchio si deve allargare, deve guardare a cosa fanno gli altri “vicini di casa”, nella propria Regione, nel proprio Paese e quindi deve guardare al mercato, che è fatto di tanti livelli. Io sono stato Ministro negli anni ’80, che sono stati importanti per l’agricoltura italiana che si è profondamente trasformata, la vitivinicoltura italiana è diventata una delle più importanti al mondo. E in quegli anni in Italia c’è stata una produzione che è entrata in campo e si è affermata, la soia. Due produzioni, dunque, completamente diverse, con riferimenti di mercato e di interessi totalmente distanti: chi produce soia deve stare attento ai produttori di materie grasse in Europa, ai monopoli tipo Unilever, chi produce vino deve guardare a quello che facevano in quel tempo gli australiani, in quel tempo ed oggi a quel che fanno in francesi, non per imitarli ma per emularli, ed in quel tempo per me tutto era ragione di sorpresa, amavo fare il Ministro dell’Agricoltura andando in giro, andando in campagna. Credo di aver fatto una visita a tutte le province del Nord, addirittura sacrificando qualche regione del Sud: almeno ogni due settimane io ero tra Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna, stavo sul campo. Tutto questo era mi permetteva di acquisire conoscenza e di offrire una linea di dialogo, perche per il cittadino, da sempre, Ministri e il Ministeri sono cose distanti, lontane, verso le quali c’è sospetto, che non si comprendono. Stando invece in mezzo ai produttori, agli agricoltori, cambia l’ottica di tutto”.

Focus - L’esperienza di Mannino nella preparazione della legge 164/92, per anni la legge quadro del vino italiano
“Ricordo che fu una grande fatica. Per il lavoro preparatorio della 164, che peraltro è raccontato in un libro che consiglio ancora oggi, “La Piramide” di Mario Fregoni, devo ringraziare lo stesso Fregoni, il professor Attilio Scienza, Luigi Veronelli e Giacomo Tachis, e tanti altri, ma queste sono le persone che più mi sono state vicine nel darmi consigli e nel consigliarmi le linee che fossero anche capite assimilate e accettate dai produttori. Ricordo un incontro con alcuni grandi produttori, di cui uno produce vini che amo, Angelo Gaja, che a un certo punto mi disse “ma no, lasci stare, non facciamo leggi sulle denominazioni, noi abbiamo bisogno di sperimentare, di provare”. Negli anni ‘80 si introducevano in Italia le varietà internazionali, e anche Gaja, pur piemontese, quindi tradizionalista e conservatore (ma si fa per dire perché è stato un innovatore) era interessato all’introduzione di questi vitigni. Sono gli anni in cui nascono i “Supertuscan” che sono diventati icone dell’Italia enologica nel mondo. Ricordo che abbiamo avuto incontri non sempre facili, non erano solo applausi, e a dire il vero non tutti i problemi sono stati risolti dalla 164. Anzi, alcuni sono ancora aperti. Ma li lascio a ministri di oggi”...

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