La Francia del vino sì che sa marciare compatta e unita verso i propri obiettivi, i vigneron d’Oltralpe sì che sono un esempio nel saper fare sistema, altro che i nostri vignaioli, sempre divisi su tutto, sempre a polemizzare. Ecco, fino a qualche tempo fa un ragionamento tanto semplice e lineare non avrebbe fatto una piega, oggi, invece, dopo tutto ciò che è successo in casa francese negli ultimi mesi, certi equilibri sembrano scricchiolare in modo sinistro, e il sistema compatto e monolitico di cui sopra rischia di durare ancora per poco.
Tra gli scontri più “sanguinosi”, quello tra il mondo della viticoltura per così dire istituzionale ed i produttori del biologico: qualche settimana fa, a finire sulle pagine dei giornali di mezzo mondo fu Emmanuel Giboulot che, rifiutandosi di utilizzare i pesticidi previsti dalla legge per combattere la flavescenza dorata per difendere i principi dell’agricoltura biologica, rischiò di mettere a rischio l’intera produzione della Cote de Beune e della Haute-Cote de Nuit. Una “bravata” che gli è costata una denuncia ed un processo, diventato immediatamente evento mediatico, con tanto di pagine su Facebook di sostegno a Giboulot e claque organizzata fuori dal tribunale, per una condanna che, alla fine, sarà una semplice multa, di poche migliaia di euro. E dopo Giboulot, adesso è la volta di Olivier Cousin, anche lui vignaiolo bio che, più banalmente, ha continuato per anni, dopo la sua uscita dalla Federation Viticole d’Anjou-Saumur nel 2005, ad utilizzare in etichetta la dicitura “Anjou Pur Breton”. Un illecito amministrativo, che pure ha fatto innalzare le barricate di chi, anche in questo caso, vuol vedere la contrapposizione tra industria del vino e produttori naturali, al di là del merito.
Una decina di giorni fa, in Francia, ha suscitato un certo clamore l’uscita nelle librerie “Vino Business”, il libro di Isabelle Saporta che offre uno sguardo a dir poco critico sul sistema, spesso contestato, delle classificazioni di Saint Emilion, soprattutto sulla promozione di Angelus a Premier Grand Cru Classé A, sulla quale ha gettato più di qualche ombra. La reazione, però, si è fatta attendere ben poco, e infatti il proprietario di Angelus, Hubert de Bouard, ha già denunciato l’autrice per diffamazione, ribadendo che il sistema di valutazione ed i criteri del Ministero dell’Agricoltura e della Commissione sono uguali per tutti, particolarmente stringenti ed assolutamente trasparenti. Vedremo come andrà, ma certo mettere in dubbio la credibilità della piramide qualitativa della denominazione più prestigiosa di Francia, qualche contraccolpo, rischia di averlo, perlomeno mediatico. Sullo stesso “genere”, se così si può dire, c’è la questione che riguarda l’appellation, Quarts-de-Chaume, nella Loira, che dal 2011 si fregia della menzione Grand Cru, raggiungendo così, sulla vetta dei vini liquorosi di Francia, il Sauternes. C’era, però, da superare un ultimo ostacolo, la diatriba legale di lungo corso con Domaine des Baumard che pure, nel 1968, fu tra i primi a promuovere il riconoscimento di Quarts-de-Chaume come Grand Cru, ma che negli ultimi anni, invece, ha trovato più di un motivo per opporsi, a partire dalle nuove norme, che vieteranno, dal 2019, la crioselezione: alla fine, Domaine des Baumard dovrà mettersi l’anima in pace, perché il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima qualsiasi tipo di opposizione alla nascita del Grand Cru Quarts-de-Chaume.
Infine, la Francia deve fare i conti con una minaccia, ancora una volta interna, molto ma molto più seria, quella dei gruppi para terroristici a difesa del patrimonio vinicolo (e, più in generale, agricolo) dalle mani degli stranieri. Tutt’altro che folklore, viste le azioni di sabotaggio, le minacce e persino il tentativo (vano, visto che poi si è accertato essere stato un incidente) di rivendicare la morte del miliardario cinese Lam Kok, precipitato a febbraio con il suo elicottero proprio a pochi chilometri da Chateau de La Riviere, tenuta di Bordeaux che aveva comprato solo un paio di mesi prima.
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