C’è chi, come Robert Parker, li ha definiti una “truffa”, ma ai consumatori del mondo, e anche a tanti produttori, i vini bio piacciono sempre di più. Ma ad alzare il livello di guarda su un movimento che rischia di diventare un contenitore enorme, a scapito della qualità del contenuto, è niente meno che uno dei sui moderni “padri fondatori”, niente meno che quello che è considerato il “vate” della viticoltura biodinamica, Nicolas Joly, autore de “Le Vin du ciel à la terre” e produttore in Francia, con Coulee de Serrant.
“Il rischio, trenta anni fa, era che il vino biologico e biodinamico sarebbe potuto rimanere uno sconosciuto - spiega a WineNews, intervistato a “ViniVeri” 2014 da Francesca Ciancio - mentre oggi è l’opposto, il rischio oggi è quello che il biologico e il biodinamico diventino ricette, “etichette”, bandiere, senza alcuna certezza sul grado di attinenza e di aderenza del vino in questione a queste filosofie. Se do a 200 persone una “ricetta” - aggiunge Joly - forse solo 5 la applicheranno per farne un grande prodotto. Qui non si parla solo di regole da seguire, ma si parla di applicare il proprio esistere come esseri umani, il proprio “umanesimo”, al servizio della natura e del vino. E per far questo servono una conoscenza e una comprensione profonda delle regole che collettivamente chiamiamo “vita”.
La vita non appartiene alla terra, la vita è un regalo alla terra, la terra da sola non avrebbe vita, apparteniamo a un sistema solare, quindi è necessario capire e comprendere quel sistema invisibile che è alla base del biodinamico, quel sistema che fornisce vita alla terra, e che è gratis, e come connetterlo al proprio luogo: ecco l’essenza del biodinamico. Fa capire questo è il mio obiettivo principale, ed è un modo per migliorare l’espressione della vita nel vino. E non cerchiamo certificazioni, ogni anno ci sono settanta richieste per entrare a far parte del nostro gruppo, (La Renaissance des Appellations, ndr) e in media ne accettiamo forse 8, perché questi vini sono buoni. A volte ci arrivano vini che sono bio, ma sono morti, non hanno espressione, noi vogliamo vini con un’emozione, vogliamo “un uomo nella bottiglia”. E questo è il nostro focus adesso, il primo passo è stato raggiunto, il secondo è quello di assicurarci che il nostro vino stia effettivamente servendo la natura, in modo che si possa esprimere al massimo del suo potenziale, il che a sua volta vuol dire non aver bisogno di fare niente in cantina. Perché se c’è bisogno di operare in cantina significa che il lavoro che hai svolto nei campi aveva dei problemi”.
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