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Affidabile ma non statico, confortevole ma non facile, prosperoso ma non sprovveduto - e assolutamente da non dare per scontato: da “Wine2Wine”, l’analisi-monito del mercato tedesco di Hermann Pilz, direttore del magazine enoico “Weinwirtschaft”

In un mondo del vino globale fatto di scossoni geopolitici, nuovi player, mercati che macinano tassi di crescita a due cifre anno su anno (ma il cui futuro a lungo termine è tutt’altro che garantito) e altri il cui successo è quasi sempre assicurato, il mercato tedesco del vino, insieme a quello statunitense, sarebbe l’equivalente del sogno di un “cassettista”: geograficamente prossimo, con la medesima valuta - e all’interno del mercato comunitario -, privo di accise specifiche sul vino e, soprattutto, con consumatori che del vino italiano sanno, generalmente parlando, tutt’altro che poco. Ma, come ha sottolineato in apertura dell’edizione 2016 del forum b2b “Wine2Wine” Hermann Pilz, direttore del magazine tedesco “Weinwirtschaft” (www.meininger.de), spesso questo mercato, proprio perché perfettamente funzionante, può generare frustrazione.
Frustrazione perché quando domanda e offerta guidano il mercato in maniera assai efficiente i margini di manovra, e di entrata, in un mercato che è vitale per il vino italiano, non sono poi così scontati. Da un lato, ovvero quello della domanda, si ha una popolazione di consumatori che è generalmente molto ben informata, e che è guidata dal prezzo non come variabile indipendente, per così dire, ma come numeratore del rapporto prezzo/qualità, e dall’altra si ha un mercato che, proprio per la sua appetibilità, è estremamente maturo, e quindi ricco di competitori a ogni passaggio della filiera e a ogni fascia di prezzo. Cosa non troppo sorprendente, ha sottolineato Pilz, se si pensa che il mercato tedesco è il primo europeo per importazioni enoiche, a circa 16 milioni di ettolitri l’anno, e con un fatturato del settore vino che ha raggiunto i 7 miliardi di Euro. Dei 21 milioni di ettolitri di vino consumato in Germania ogni anno, i due terzi (13,5 milioni) provengono da oltreconfine, e questo a fronte di un panorama produttivo nazionale dove vi sono solo 95 cooperative vitivinicole, e dove l’azienda media ha poco più di cinque ettari vitati. L’Italia è il primo importatore, con 5,8 milioni di ettolitri e un prezzo medio di circa 1,6 Euro al litro, seguita dalla Spagna, con 4 milioni (e un prezzo medio di 1 euro al litro), e dalla Francia, a “soli” 2,3 milioni di ettolitri, ma un prezzo medio quasi doppio rispetto al nostro (3,02 euro al litro).
Tutto bene, quindi, a parte l’annosa e non nuova questione del prezzo medio? Assolutamente no, perché per mantenere il primato tricolore nel mercato enoico tedesco un punto da tenere ben presente, ha sottolineato il direttore di “Weinwirtschaft”, è quello demografico: sorprendentemente, la fascia di età che supera maggiormente il consumo medio annuale procapite, che è pari a circa venti litri, è quella compresa tra i 60 e i 70 anni, arrivando a quasi un terzo in più della media. Questa fascia di età, secondo le proiezioni demografiche, si irrobustirà fortemente nei prossimi anni, e si accompagnerà a una diminuzione della popolazione complessiva dovuta alla progressiva denatalità in corso nei paesi avanzati: se da una parte questo processo contribuirà ad aumentare il consumo medio procapite, che dovrebbe superare i 21,2 litri l’anno entro il 2040, dall’altro darà alla fascia enoicamente più “tradizionalista” ancora più peso sul mercato. Un mercato dove il discount e la gdo nel complesso dominano in volume (53%), ma dove il valore sta negli altri canali: l’aggregato del primo settore si ferma al 38% del valore del mercato, mentre il 47% del volume, e ben il 62% del valore, risiedono nell’horeca, nella vendita diretta e nella multicanalità, con un prezzo medio più che doppio rispetto alla grande distribuzione (6,82 euro al litro contro 3,19).
Fin qui, la “fotografia” di Pilz sui dati oggettivi: successivamente, il direttore di “Weinwirtschaft” è poi passato a come, a suo modo di vedere, un produttore italiano può sfruttare al meglio lo stato delle cose sul mercato tedesco. Il punto cardine, ha sottolineato, “è la qualità: il consumatore tedesco è abbastanza istruito in tema di vino da sapere che certe offerte speciali da gdo sono sospette, e non si fa problemi a spendere una cifra ben superiore se sa cosa sta comprando. Non a caso uno dei fattori che sta più limitando il settore dell’e-commerce del vino in Germania è l’impossibilità di “toccare con mano” - quindi assaggiare, ma anche sentire la presenza fisica della bottiglia in questione - il vino, insieme alla mancanza di un consiglio personalizzato e fidato e alla disponibilità di troppe etichette, che lascia spaesati”. In conclusione, per Pilz “un produttore che voglia approcciarsi al mercato tedesco, o mantenervi una posizione, deve essere sicuro di poter contare su un brand”, nel senso più ampio del termine, quindi sia sulla base della propria denominazione, che su quella dei vitigni utilizzati, che del proprio marchio aziendale. Deve poi “essere attivo sul versante dei prezzi, sincerandosi di essere il più competitivo possibile nella propria fascia di prezzo - ma solo dopo aver deciso chiaramente su quale fascia di prezzo puntare - e capire che la distribuzione è un fattore chiave”.

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