“Fashion e Food sono le due grandi “F” del made in Italy, quelle che lo distinguono nel mondo e che rappresentano anche un potente sostegno all’economia del nostro Paese”. Così l’imprenditrice Luisa Todini, presidente del Comitato Leonardo che raduna 160 aziende per promuovere il made in Italy nel mondo (di cui 19 del settore agroalimentare, tra grandi multinazionali e Pmi), che mettono insieme oltre 15 miliardi di euro di fatturato, il 58% all’export”, ha spiegato perché si è scelto il cibo e la cucina italiana come tema del convegno, organizzato assieme all’Università Luiss, negli “Appuntamenti con l’Ingegno”, ciclo di riflessioni chi si era aperto con un confronto su moda e design.
“Non dimentichiamo che l’agroalimentare è la seconda forza economica del Paese - ha rimarcato Todini (che è anche produttrice di vino, in Umbria, ndr) - contribuisce all’8% del Pil (Prodotto Interno Lordo). Nel 2017 la produzione alimentare italiana ha veleggiato verso i 190 miliardi, se si considera l’intero settore comprensivo del primario. Anche le esportazioni vanno molto bene e in crescita continua. Ma ora all’orizzonte ci sono sfide importanti, come quella della rivoluzione digitale applicata alla produzione agroalimentare - per la nascita di un’Agricoltura 4.0 che accresca produttività, efficienza energetica, qualità e tracciabilità - ed alla distribuzione, con il potenziamento dell’e-commerce che nel food ha assunto un’importanza crescente”.
Il convegno di Roma, in Università Luiss, ha messo intorno al tavolo grandi nomi dell’imprenditoria alimentare, come Gian Domenico Auricchio, ad di Gennaro Auricchio spa, Francesco Paolo Fulci, presidente di Ferrero Spa, Lisa Ferrarini, presidente del Gruppo Agroalimentare Ferrarini e GiuseppeLavazza, vice presidente di Lavazza Spa. E non mancava il rappresentante top degli chef italiani, quel Massimo Bottura, tre stelle Michelin, che ha scalato la classifica dei 50 World’s Best Restaurant, vincendo il titolo con la sua Osteria Francescana nel 2016 e rimanendo poi saldo sul podio. Un Bottura che si è detto particolarmente contento di trovarsi in una sede universitaria, in quanto “la legittimazione culturale è sempre più importante di ogni riconoscimento stellato”. Bottura ha raccontato il suo percorso per divenire un top chef, lo “schiaffo” inflitto al padre, che non approvava la scelta e voleva invece che lavorasse nell’azienda di famiglia. “L’enogastronomia mi aveva sempre interessato sin da ragazzo - ha spiegato Bottura - e alla fine questa passione si è trasformata in lavoro, un lavoro duro, credetemi. Quando sono arrivato nel mio ristorante subentrando a una precedente gestione per due anni e mezzo non ho preso ferie”.
Oggi i cuochi italiani sono conosciuti nel mondo, “anche perché hanno saputo combinare innovazione e tradizione - ha spiegato lo chef modenese - ma il percorso è stato lento perché qui in Italia non è facile proporre le novità e i cambiamenti”. E per lo chef, come ha spiegato a WineNews, “l’ingrediente più importante del futuro credo sia proprio la cultura, perché attraverso la cultura riesci a esprimere un’idea, produci conoscenza, ti apre la coscienza e il senso di responsabilità. La cucina del futuro è quella che a fianco dell’estetica ha una profonda etica, il buono senza il bello fa infatti fatica ad esprimersi appieno. Scegliere i prodotti, le materie prime, essere a fianco dei contadini, allevatori, pescatori e casari, penso sia lo sviluppo di un territorio intero e aiuta il territorio a sopravvivere e a proiettarsi nel futuro”. Ed il vino? “È un grande piacere, lo vivo come consumatore, come fruitore, mentre lascio ai miei ragazzi in sala, guidati da Beppe Palmieri, la scelta il vino giusto per chiudere il cerchio del piatto perfetto”. Intanto lo chef va avanti nel suo progetto solidale di aprire Refettori che danno da mangiare cibo di qualità ai bisognosi puntando anche a combattere lo spreco alimentare. “Penso sia il momento di esportare negli Stati Uniti il progetto dei Refettori. Ce l’ha chiesto la Rockfeller Foundation. Penso che in meno di un anno - ha precisato a Winenews - ce la faremo”.
Dal canto loro, Auricchio, Ferrarini e Lavazza hanno sottolineato come la tradizione e passione familiare, la ricerca della qualità nella produzione e l’utilizzo della miglior tecnologia, siano le chiavi vincenti dell’industria agroalimentare italiana. “Potrei avere meno dipendenti - ha detto Gian Domenico Auricchio, quarta generazione di un’azienda avviata 140 anni fa - ma il loro apporto nella lavorazione e stagionatura dei prodotti è un valore aggiunto”. Lisa Ferrarini ha sottolineato i problemi che ancora pesano sulle aziende alimentari italiane nel campo dell’esportazione, tra cui gli ostacoli sanitari alla frontiera verso alcuni Paesi “che il fatto, per noi imprese, di far capo a tre Ministeri, come Sviluppo Economico, Agricoltura e Salute, non aiuta certo a risolvere le questioni in tempi brevi”.
Che l’Italia abbia e abbia avuto grandi imprenditori nel campo dell’agroalimentare l’ha evidenziato Francesco Paolo Fulci, ricordando la figura dei Michele Ferrero, il “papà” della Nutella e l’ideatore degli ovetti Kinder. E ora il figlio Giovanni porta avanti la tradizione “con la mentalità adeguata ai tempi che ha visto per esempio Ferrero acquisire un ramo della Nestlè”, ha sottolineato Fulci. Momenti di condivisione di esperienze tra grandi realtà, ha sottolineato il Rettore della Luiss, Paola Severino: “il confronto con le più prestigiose storie di imprenditorialità italiane e l’analisi delle best practices che rendono attraente il sistema Italia sono insegnamenti fondamentali per i nostri giovani. E la nascita di un “Master in Food Law” va in questa direzione, mirando a creare nuove professionalità nel mondo della regolamentazione, commercializzazione e certificazione del cibo di qualità”.
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