Il mondo del vino ed i suoi mercati cambiano velocemente, e se avere un’identità forte e delle peculiarità sui cui puntare è un punto di forza, alla lunga, nel breve serve una capacità di leggere le tendenze e di sapersi un po' adattare che, forse, non è ancora nelle corde dell’Italia enoica.
Riflessione che, a WineNews, porta la firma di Enrico Zanoni, uno dei manager più preparati del vino italiano, alla guida di Cavit, gigante della cooperazione trentina, con un fatturato di oltre 190 milioni di euro ed un export che tocca l’80% della produzione. Un osservatorio privilegiato sui mercato del mondo, dunque. “Sui quali non voglio essere pessimista - dice Zanoni - ma dobbiamo essere attenti a dinamiche che stanno accelerando. In Usa, per esempio, assistiamo ad una continua crescita della produzione domestica, con nuove aree come Oregon e Washington, che diventano sempre più importanti. Crescono i Millennials, che hanno comportamenti diversi dai consumatori che abbiamo conosciuto fino ad oggi, e ci sono fenomeni come i rosè o i “red blend”, impensabili pochi anni fa, ma che, in poco tempo, hanno raggiunto dimensioni importanti. Questo vuol dire che dobbiamo essere attenti, dobbiamo certamente continuare ad affermare le nostre identità, specificità e storicità, ma dobbiamo anche essere capaci di cogliere le nuove dinamiche, e forse non siamo così attrezzati come i produttori americani o di altri Paesi del Nuovo Mondo”.
Dagli Usa, mercato n. 1 del mondo (e dell’Italia all’estero) di oggi, alla Cina, quello da tutti indicato come riferimento del prossimo futuro. “Sulla Cina, mi sento di dire che è un mercato che è stato dipinto troppo velocemente e facilmente come un “Eldorado” - sottolinea Zanoni, che ha passato e sta passando varie fasi. Dopo una bolla speculativa di qualche anno fa, ora sta diventando, finalmente, un vero mercato di consumo, dove chi compra, lo fa per bere e non per regalare. Ora il vino sta diventando un prodotto di consumo, ma anche qui serve un approccio attento. Perchè, al di là di una iper-nicchia di appassionati che sa conoscere e apprezzare le nostre specificità, devo dire che il consumo di base al momento è polarizzato tra l’immagine della Francia come produttore di eccellenza, e Nuovo Mondo, con Paesi come Cile, Nuova Zelanda e Australia, che sono favoriti da accordi bilaterali con dazi doganali inesistenti, ed un’offerta focalizzata su poche aziende, mentre noi ancora non riusciamo a farci riconoscere la nostra grande complessità. Il consumatore cinese, forse, non è ancora pronto per questo, e, forse, anche qui dobbiamo un po’ adattare il nostro modello di export ad una situazione diversa da quelle abituale”.
E da manager alla guida di un riferimento della cooperazione enoica, come la trentina Cavit, è d’obbligo anche una riflessione sull’evoluzione qualitativa e sui mercati del mondo del modello cooperativo. “L’iper frammentazione delle proprietà e dei terreni ha portato alla necessità di aggregarsi nel mondo cooperativo, unico modo per dare un reddito sostenibile nel tempo a viticultori che in molti casi sarebbero costretti all’abbandono. La cooperazione - dice Zanoni - è una risposta puntuale e precisa ad una chiara esigenza, e negli ultimi anni ha fatto un percorso importante, lavorando in maniera significativa sulla qualità, remunerando i soci e vincolandoli a risultati qualitativi, anche con linee di prodotto che toccano le vette dell’eccellenza produttiva - noi lo facciamo con Altemasi ed il Trentodoc, ma anche con prodotti più accessibili - smarcando la cooperazione dalla vecchia immagine legata ad una produzione semplicemente quantitativa”.
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