Per la prima volta dalla fine del 2014, il valore delle esportazioni mondiali di vino fa segnare un andamento negativo: come ricordano i dati analizzati dall’Oemv - Observatorio Español del Mercado del Vino, nei 12 mesi che vanno, da marzo 2019 a marzo 2020, il commercio internazionale enoico ha perso 236 milioni di euro (-0,7%), fermandosi a 31,43 miliardi di euro, a causa, essenzialmente, del primo trimestre del 2020, quando si sono persi 350 milioni di euro di esportazioni. La sola Francia ha lasciato sul terreno 245 milioni di euro, “punita” dal mercato Usa dopo l’entrata in vigore dei nuovi dazi, che hanno comunque salvato lo Champagne. Crescono, in termini complessivi, le quantità, a quota 10,34 miliardi di litri (+1,4%), per un calo del prezzo medio del 2,2%, a 3,04 euro al litro. Bene l’Italia, che nei 12 mesi ha spedito in tutto il mondo 2,191 miliardi di litri di vino (+9,6%), per un giro d’affari di 6,507 miliardi di euro (+3,6%).
L’impatto del lockdown, come abbiamo ricordato spesso, si vedrà a partire dai dati del secondo trimestre, e continuerà probabilmente fino alla fine dell’anno, con ripercussioni attese anche per il Belpaese, che pure aveva il vento in poppa, anche grazie ad un contesto internazionale decisamente favorevole: salvato dai dazi Usa da una parte, in ripresa in Cina e Giappone, sull’onda dell’accordo di libero scambio (Economic Partnership Agreement) tra Sol Levante ed Unione Europea entrato in vigore lo scorso anno. Ed è proprio questa la nota dolente: se il dramma di questo 2020, sanitario, economico e sociale, è la pandemia di Covid-19, per il vino l’incertezza che si continua, o si torna a vivere nei maggiori mercati rischia di rivelarsi un freno importante alla ripresa. Ci vorrà ancora qualche giorno di pazienza, prima di sapere se l’Amministrazione Trump avrà incluso, o meno, il vino e l’agroalimentare italiano nella black list dei prodotti Ue colpiti da nuovi dazi Usa. La procedura di consultazione del Dipartimento del Commercio Usa si è conclusa il 26 luglio, e i dati relativi alla Francia danno la misura di quanto il pericolo sia reale, specie per l’Italia, che ha negli Stati Uniti il mercato di riferimento.
E poi, sul fronte interno all’Europa, c’è ancora sul tavolo la Brexit, i cui effetti sul commercio del vino sono tutti da capire. Tutto dipenderà da come termineranno i negoziati commerciali con la Ue, a fine anno: se si troverà un accordo non ci saranno grossi problemi, ma crescerà sicuramente la competizioni con le produzioni extra europee, e quindi con Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica. Se invece non si dovesse trovare un accordo, anche in termini di etichettatura e riconoscimento delle denominazioni di origine, allora per le imprese del vino ci sarà da lavorare per adattarsi ad un contesto nuovo. In Cina, dopo due anni di calo delle importazioni, non tanto dall’Italia quanto dalla Francia, il calo dei consumi ha colpito duramente: con il lockdown imposto dal Governo dopo i primi focolai di Covid-19, l’economia del Paese ha sofferto parecchio, specie quella di bar e ristoranti, e la cancellazione del Capodanno Cinese è stata la ciliegina sulla torta di una situazione già difficile.
Non va troppo meglio in Giappone, dove pure il 2019 per le esportazioni enoiche è stato l’anno del rilancio: la crisi economica, qui, colpirà duro, tra debito pubblico alle stelle e consumi in picchiata. E non bisogna dimenticare la Russia, dove dal 26 giugno è entrata in vigore una nuova legge, la Federal Law N 468-ФЗ “On Viticulture and Winemaking in the Russian Federation, che regolamenta il mercato e la produzione di vino nel Paese, introducendo limitazioni importanti alle importazioni degli sfusi, una nicchia, magari non così importante, ma che avrà da affrontare un bel problema. In definitiva, il combinato disposto di tutte queste fragilità a livello internazionale, oltre ovviamente alla pandemia che ancora è ben lontana dall’essere sconfitta, rischia di tradursi per il vino, italiano ma non solo, in un anno ancora peggiore di quanto si potesse immaginare qualche mese fa.
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