Tutti, o tanti, contro il Dpcm del 24 ottobre che ha decretato la chiusura di ristoranti e bar alle ore 18 (salvo quelli degli alberghi e le attività di asporto e consegna a domicilio), fino al 28 novembre. Al netto delle violente scene di guerriglia urbana in tante città d’Italia, che nulla hanno a che vedere con la difesa del diritto al lavoro e con l’affermazione di idee diverse sul come lottare contro l’aumento dei contagi da Covid, e con le divisioni interne ai partiti di Governo (con Italia Viva che, così come i partiti di opposizione, preme per una revisione del Dpcm, mentre Pd e 5 Stelle, salvo alcune voci discordanti, difendono la scelta) sono tante le posizioni e le proposte diverse presentate in maniera civile. Che, nelle ultime ore, si sono aggiunte alle tante già riportate ieri da WineNews (testimonianze di ristoratori come Enrico Bartolini, Chicco Cerea e Cristina Bowerman, rappresentanze dei pubblici servizi come Fipe-Confcommercio, organizzazioni di filiera come Unione Italiana Vini, Federvini, Assoenologi, Confagricoltura, Coldiretti e Cia-Agricoltori Italiani, tra gli altri).
Tra i “big del settore”, a scendere in campo è lo chef n. 1 d’Italia, Massimo Bottura, che ha scritto una lettera aperta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, pubblicata dal “Corriere della Sera”: “i ristoranti sono ambasciatori dell’agricoltura, sono il motore del turismo gastronomico, sono i protagonisti di una rivoluzione umanistica che coinvolge il sociale”, scrive Bottura, ribadendo il suo celebre paragone dei ristoranti italiani visti come “botteghe rinascimentali”, ma riproponendo anche misure concrete di cui la ristorazione ha bisogno: “chiusura serale almeno alle ore 23, liquidità legata alle perdite di fatturato, cassa integrazione almeno fino alla stabilizzazione del turismo europeo, decontribuzione per il 2021 visto che per il 2020 abbiamo già adempito in pieno, abbassamento dell’aliquota Iva al 4% per il prossimo anno”. Proposte in gran parte già presentate, tra le altre, dalla Fipe/Confcommercio, che, domani, sarà in piazza, in diverse città d’Italia, per una protesta civile di un settore in ginocchio, che stima perdite di oltre 34 miliardi da qui a fine anno, su 86 miliardi di euro di fatturato nel 2019, con decine di migliaia di imprese che rischiano di non riaprire.
Stime ancora peggiori quelle di Ismea, che, dopo le nuove misure del Governo, stima una perdita dei consumi fuori casi di 41 miliardi di euro, il -48% sul 2019, solo in parte compensate dal +7% dei consumi domestici, che potrebbero portare un valore corrispondente di 11,5 miliardi di euro in più, per un saldo complessivo segnato da 30 miliardi di euro di perdite (-12% sul giro d'affari dell'alimentare nel suo complesso).
In molti puntano il dito contro il provvedimento sostenendo, suffragati dai numeri, che a spingere la ripartenza dei contagi non sono i ristoranti aperti, visto che lo sono stati anche in estate quando la curva del contagio era a livelli contenibili, ma la riapertura delle scuole, dopo la quale c’è stata quella che, secondo molti, era una prevedibile impennata, come sottolinea, tra gli altri, l’esperto di gestione delle crisi nella ristorazione, Marco Lungo: “le Regioni - scrive - si erano opposte a questa follia della chiusura dei ristoranti alle ore 18 ma c’è stato poco da fare: il premier Conte e i suoi hanno tirato dritto ed ecco il risultato. Le previsioni sono pessime: non chiudendo le scuole i contagi aumenteranno ancora, sempre con questa progressione esponenziale che non si era mai vista prima, neanche all’inizio della pandemia. Non ci sono altre strade che chiudere subito le scuole, ovviamente assicurando l’assistenza ai bambini con problemi di qualsiasi tipo, e riaprire subito i ristoranti. Non ha senso uccidere il settore e, meno che mai, far studiare dei ragazzi che dopo non potranno neanche più fare il cameriere per avere un lavoro, perché i ristoranti saranno quasi tutti chiusi”.
“Con i nuovi limiti di orario nella ristorazione si perdono 6 italiani su 10 (63%) che almeno una volta al mese mangiano la sera fuori casa, con un drammatico impatto sull’intera filiera agroalimentare dai campi alle tavole” aggiunge oggi la Coldiretti, sottolineando come “dai ristoranti alle trattorie, dalle gelaterie alle pizzerie fino ai pub sono molte le realtà che trovano sostenibilità economica solo grazie al lavoro serale e che ora decidono addirittura di non aprire per gli elevati costi e la mancanza di clienti. Per molte strutture la pausa pranzo non è sufficiente per garantire la copertura dei costi tenuto conto anche della mancanza di turisti e della diffusione dello smart working che ha drammaticamente tagliato il numero di clienti”. Ad essere più colpiti dalla misura, secondo Coldiretti, sono i ristoranti che sono il luogo preferito per il consumo serale fuori casa (65%), al secondo posto le pizzerie con servizio al tavolo (59%), al terzo posto i fast food (10%) e i pub (9%), secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Fipe dalle quali emerge che la fascia di prezzo su cui si attesta una cena-tipo è tra i 10 e i 20 euro, anche se più di un terzo degli italiani riserva ad una singola cena dai 21 ai 30 euro.
Ma la preoccupazione si estende già al Natale: con un potenziale protrarsi del lockdonw, secondo Coldiretti e Ixè, salterebbero le vacanze natalizie di 10 milioni di italiani, tanti quanti si sono messi in viaggio proprio nel periodo delle feste di fine anno. Per questo si deve fare “tutto il possibile per evitare il lockdown di Natale che rappresenta l’appuntamento piu’ importante per i consumi delle famiglie come evidenziato dal Censis. A pagare il prezzo più salato sarebbero le strutture impegnate nell’alloggio, nell’alimentazione, nei trasporti, divertimenti, shopping e souvenir secondo l’analisi della Coldiretti che sottolinea il duro colpo per il sistema economico con una perdita stimata di 4,1 miliardi solo per i turisti nazionali”.
Intanto, alle voci del vino, dopo che Uiv - Unione Italiana Vini ha stimato in 1,2 miliardi di euro le perdite per le cantine italiane nell’horeca, e Federvini ed Assoenologi hanno chiesto interventi urgenti a sostegno dei produttori, si aggiunge anche quella della Fivi-Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, che hanno inviato la loro lettera aperta a Conte: “chiudere i ristoranti significa far soffrire ulteriormente anche i tanti vignaioli artigiani che a fatica hanno continuato a coltivare le loro vigne. Fivi, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti - scrive, tra le altre cose, la presidente Matilde Poggi - riunisce più di 1300 vignaioli che seguono l’intero processo produttivo del vino, dalla vigna al bicchiere. Sono aziende di medio piccole dimensioni, spesso famiglie, che hanno in queste attività il loro unico reddito. Per i vignaioli il settore della ristorazione è il mercato di sbocco preferenziale per i loro vini e a poche ore dalla firma del nuovo Dpcm hanno già iniziato ad arrivare le prime disdette agli ordini in corso. I vignaioli, come molte altre categorie, sono stati pesantemente indeboliti dai mesi di chiusura forzata, ma la vigna non si può abbandonare e va coltivata anche se le vendite sono ridotte al lumicino. Noi di Fivi e tutti gli operatori del settore Horeca vogliamo poter lavorare in sicurezza per dare il nostro piccolo contributo alla ripresa del Paese”.
Intanto, nelle prossime ore, dovrebbe arrivare un nuovo Decreto per stabilire modalità ed entità dei ristori per le imprese danneggiate dalle chiusure. Secondo le anticipazioni di stampa, si parla di un fondo complessivo con un plafond tra 4,5 e 6,2 miliardi, con i rimborsi per la ristorazione che potrebbero oscillare tra il 150% ed il 200% delle perdite sul periodo di chiusura alle ore 18, stimate sul fatturato 2019 dello stesso periodo. Ma tutto da capire, da mettere nero su bianco e poi da rendere operativo.
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