L’Italia va verso un Natale blindato per arginare la Pandemia ed una possibile “terza ondata”: il nuovo Dpcm adottato dal Governo, che sta limando i dettagli con non pochi contrasti con le Regioni, inasprisce le norme già in atto, bloccando gli spostamenti tra Regioni dal 21 dicembre al 6 gennaio, e addirittura quelli tra Comune e Comune nei giorni di Natale, Santo Stefano e Capodanno. Misure necessarie per il Governo e per il Comitato Tecnico Scientifico, ma che non vanno giù a molte Regioni e, ancora una volta, al settore della ristorazione (si parla della chiusura dei ristoranti anche negli alberghi, che ad oggi possono operare solo per gli ospiti delle strutture, ndr), che leva l’ennesimo grido di protesta.
Stare chiusi a dicembre costa al settore ulteriori 6 miliardi di euro, che si aggiungono ai 27 miliardi già persi. I ristori erogati sono purtroppo inadeguati e insufficienti a compensare danni così rilevanti ed è, quindi, urgente e vitale intervenire rafforzandoli, se si vuole evitare la chiusura di oltre 60.000 imprese e la perdita di 300.000 posti di lavoro, oltre che la dispersione di professionalità, fondamentali per due filiere strategiche per il Paese: Agroalimentare e Turismo”, ha sottolineato ieri la Fipe/Confcommercio in una nota, ribadendo di ritenere “difficile da comprendere sotto il profilo scientifico, economico, sociale e persino umano” l'atteggiamento del Governo, con un settore che si sente penalizzato nonostante tutte le precauzioni prese come imposto dalla legge. “Lo testimoniano i dati dell’Istituto superiore di Sanità sull’andamento dei contagi e quelli del Ministero dell’Interno sui controlli, secondo cui dall’inizio della pandemia, su oltre 6,5 milioni di controlli effettuati nel complesso delle attività commerciali, ristorazione compresa, solo lo 0,18% ha subito una sanzione, spiega la Fipe/Confcommercio.
“Da ottobre 2020 siamo sottoposti ad uno stillicidio di provvedimenti nazionali, regionali ed in alcuni casi locali: chiusura alle ore 24, anzi no alle ore 23, ancora no alle ore 22 e poi alle ore 18 e infine chiusura totale, ma solo nelle zone rosse e arancioni, dove opera tuttavia l’80% delle nostre imprese con 900.000 addetti. Come se non bastasse, ora arrivano le indiscrezioni sulle chiusure nei giorni di Natale e di S. Stefano. Un fatto che ha più un valore simbolico che reale per l’economia disastrata delle nostre imprese, ma sul quale non rinunciamo a dire che sarebbe una misura illogica. Noi crediamo nel confronto e nel dialogo con le Istituzioni. Ma non vogliamo, ne possiamo assistere inermi a scelte che sono incomprensibili nei riguardi di un settore letteralmente al collasso. Vogliamo trasferire il disagio, la preoccupazione, l’amarezza, spesso anche la disperazione che gli operatori di questo settore stanno vivendo, perché vedono a rischio il futuro loro, delle loro aziende, delle loro famiglie, del loro progetto di vita, che spesso coincide con il loro ristorante, bar, pub, pizzeria, pasticceria, gelateria, azienda di catering, locale di intrattenimento. Siamo imprese anche noi, con i nostri bilanci e i conti da far tornare e nessuno con queste perdite può stare in piedi”, sottolinea ancora l’associazione dei Pubblici Esercizi. In cui emerge una criticità nella criticità, quella legata al lavoro e all'imprenditoria femminile nel settore. Sono 100.043 le imprese del settore gestite da donne, pari al 29,4% del totale, nel terzo trimestre del 2020. Che sono le più colpite: rispetto al 2019, infatti, il numero di attività gestite da donne si è ridotto di 705 unità, lo 0,7% in meno, in netta controtendenza con le imprese maschili, cresciute complessivamente dello 0,4% nel corso del 2020. Un dato sul quale pesa la sfiducia determinata dalla pandemia e soprattutto l’obbligo per molte donne di far fronte ad altre necessità familiari, prima tra tutte la cura dei figli costretti alla didattica a distanza, in particolare nella prima metà dell’anno. Parallelamente cresce la preoccupazione tra le lavoratrici dipendenti: se è vero infatti che complessivamente nei pubblici esercizi il 51,5% degli addetti è donna, è anche vero che questa percentuale sale al 77,8% se si considerano solo le imprese di catering e banqueting, le più colpite dalla crisi post Covid con una perdita di fatturato media nel 2020 del 90%. Un disastro destinato a tradursi in un crollo dell’occupazione nel corso del prossimo anno.
Intanto, però, le misure del Governo per le feste mettono in crisi anche gli agriturismi, sottolinea la Coldiretti: “la possibilità per le strutture della ristorazione di rimanere aperti a pranzo durante le festività è vanificata dai limiti agli spostamenti tra comuni che impedisce agli ospiti di raggiungere le campagne. Un vero paradosso se si considera che gli agriturismi spesso situati in zone isolate in strutture familiari con un numero contenuto di posti letto e a tavola e con ampi spazi all’aperto. Si parla di realtà già duramente colpite dalla crisi generata dalla pandemia con oltre 1 miliardo di perdite per le oltre 24.000 a strutture presenti in Italia nel 2020. I limiti imposti per le festività di fine anno - precisa la Coldiretti - arrivano dopo che il primo lockdown ha azzerato le visite in campagna nei tradizionali weekend di primavera e di Pasqua, mentre durante l’estate ha pesato l’assenza praticamente totale degli stranieri che in alcune regioni rappresenta la maggioranza degli ospiti degli agriturismi. A rischio è un sistema che può contare su 24.576 strutture con 493.319 posti a tavola e 285.027 posti letto. e che lo scorso anno ha sviluppato un valore di 1,5 miliardi di grazie a poco più di 14 milioni di presenze, delle quali ben 8,2 milioni provenienti dall’estero, sulla base delle elaborazioni Coldiretti su dati Istat relativi al primo gennaio 2020”.
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