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Spaghetti al pomodoro, il piatto dell’“integrazione” made in Italy, che mette tutti d’accordo

In questi giorni frenetici per l’elezione del Presidente della Repubblica bisognerebbe riflettere come lo storico Massimo Montanari sui nostri simboli

“La pasta secca di formato lungo forse è di origine persiana, ma furono gli arabi fra IX-XI secolo a diffonderla in Italia, precisamente in Sicilia dove nel XII secolo per la prima volta compare un’industria pastaria. Alla pasta si affianca subito il formaggio grattugiato che per molti secoli rimane il suo condimento principale. La salsa di pomodoro è una preparazione americana che gli italiani importano dalla Spagna nel Seicento, e solo due secoli dopo viene provata sulla pasta. Dapprima affianca il formaggio, poi diventa il suo condimento principale, ed è solo a questo punto che nel nostro piatto compaiono l’aglio e la cipolla, prodotti antichissimi ma inadatti ad accompagnare il formaggio. Al pomodoro poi si affianca un altro prodotto, anche lui di origine americana, come il peperoncino. Poi arrivano il basilico e, “buon ultimo”, l’olio di oliva”. Ecco il racconto degli spaghetti al pomodoro di Massimo Montanari, tra i più importanti storici dell’alimentazione al mondo (a “#maestri” su Rai3, il programma di Rai Cultura in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, ndr), autore di “Il mito delle origini. Breve storia degli spaghetti al pomodoro”, un prezioso volume dedicato ad un simbolo che sintetizza alla perfezione la complessità gastronomica dell’Italia - e degli italiani - riuscendo ad unire il Belpaese da Nord a Sud, ma che rappresenta anche la capacità di “integrazione” del made in Italy.
Gli spaghetti al pomodoro sono molto di più di una delle nostre ricette, di origine meridionale, più famose al mondo, un’icona che evoca il tricolore fin dalla vista: arrotolarli nella forchetta, è un gesto che rappresenta la nostra identità. E se, nelle nostre parodie, Totò si è ispirato ad una scena realmente accaduta nella sua vita nel divorarne una pirofila con le mani in “Miseria e Nobiltà”, e Alberto Sordi in “Un americano a Roma” li ha resi per sempre immortali al cinema, grazie a Nando Moriconi, giovanottone di borgata con la fissa dell’America, vestito alla James Dean, che non riesce a resistere alla provocazione dei “Macarò” con una buona bottiglia di Lambrusco alla faccia del cibo americano, insegnandoci a godere anche del piacere del buon cibo e del buon vino ed anticipando una passione tutta contemporanea, uno dei maggiori storici italiani ha scelto di dedicare a questo piatto un libro (Editori Laterza, terza ristampa 2021, pp. 120, prezzo di copertina 9 euro), raccontandone la storia ed i tanti miti che lo riguardano.
Alle origini di ogni cosa c’è solo un inizio: per cercare l’identità serve tutta la storia, fatta di incontri, incroci, mescolanze. Accade anche per gli spaghetti al pomodoro. Il mito delle origini è quello che ci fa pensare che esista un punto magico della storia in cui tutto prende forma, tutto comincia e tutto si spiega; il punto in cui si cela l’intimo segreto della nostra identità. Ma perché quello delle origini è solo un mito? Il fatto è che le origini, di per sé, spiegano poco: l’identità nasce dalla storia, da come quelle origini si sviluppano, crescono, cambiano attraverso incontri e incroci spesso imprevedibili. Basta un piatto di spaghetti al pomodoro per spiegarlo. Seguendo le tracce del nostro piatto identitario per eccellenza, Montanari risale a tempi e luoghi distanti, dall’Asia all’America, dall’Africa all’Europa, dalle prime civiltà agricole alle innovazioni medievali, fino a vicende di qualche secolo fa, o dell’altro ieri. Scopriamo, così, che ricercare le origini della nostra identità (ciò che siamo) non ci porta quasi mai a ritrovare noi stessi (ciò che eravamo) bensì altre culture, altri popoli, altre tradizioni, dal cui incontro e dalla cui mescolanza si è prodotto ciò che siamo diventati.
In questi giorni frenetici di incontri, votazioni e fumate nere per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica italiana che succederà al Quirinale a Sergio Mattarella, non sarebbe male riflettere come fa il grande storico con la sua autorevolezza, ma anche con estrema chiarezza, sulla nostra identità e sul significato di unità nazionale ed integrazione, che anche un semplice piatto di spaghetti al pomodoro riesce ad “emanare”: “radici e identità sono parole pericolose, da maneggiare con cura - spiega Montanari - frequentemente le si vedono fraintese e confuse, mentre è importante distinguerle. Le radici abitano il passato: sulla linea del tempo - se vogliamo raccontare la nascita, la crescita, lo sviluppo di qualsiasi realtà - stanno all’inizio, e nello spazio si allargano per trarre alimento da ogni fonte raggiungibile (la metafora botanica, affinché sia utile, va usata fino in fondo). All’altro capo della linea del tempo stanno le identità, che invece abitano il presente - un presente mobile, sempre teso a proiettarsi nel futuro diventando esso stesso passato. In qualsiasi punto della linea cronologica, le identità sono un punto d’arrivo: spazi mentali e materiali ben delimitati le caratterizzano, ma sempre instabili e mutevoli, come è proprio di tutto ciò che vive. Perdere di vista questa vitalità significa precludersi uno sguardo veramente storico attorno al tema delle identità e delle radici da cui esse provengono, ossia le loro “origini”. Significa pensarle immutabili rispetto al futuro, preoccupandosi non di tenerle in vita - con gli opportuni adattamenti - ma di congelarle, codificarle, musealizzarle. Significa pensarle immutate rispetto al passato - un passato che a questo punto diventa puro mito e colossale mistificazione. È l’idolo delle origini che rispunta, contro ogni evidenza, contro ogni logica (…).Ma lo storico si illude che il semplice racconto dei fatti possa aiutare a far luce sul senso delle parole e delle cose. Soprattutto quando le “cose” sono aspetti della vita con cui ci confrontiamo quotidianamente. Per esempio il cibo, i prodotti alimentari, le ricette di cucina. È possibile sedersi a tavola di fronte a un piatto di spaghetti al pomodoro e riflettere sul senso delle radici, delle identità, delle origini? È quanto ho provato a fare in queste pagine”.

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