Per chi vive in città, la campagna è un posto dove si sta meglio e dove è possibile passare del leisure time anche lavorando, per esempio, raccogliendo le olive o vendemmiando. Decidere di viverci è, però, un discorso diverso: nell’immaginario collettivo, infatti, sembra permanere, comunque, il concetto di campagna come “arretratezza”. Solo alcuni territori, come la Toscana, si sono slegati da questa visione, grazie ad un buon marketing territoriale. In termini di comunicazione, sembra mancare completamente la narrazione dell’innovatività del settore agricolo. Bisognerebbe, invece, rovesciare frasi come “i prodotti di una volta erano più buoni”, con frasi come “oggi c’è più attenzione al processo ed alla sicurezza alimentare”. L’immaginario è costruito dalla narrazione che la pubblicità fa dell’agricoltura e della campagna: sempre meno persone hanno un contatto diretto. É questo uno dei punti che emergono dall’indagine “L’agricoltura italiana come bene comune”, condotta dall’Istituto Eurispes e realizzata in collaborazione con Confagricoltura.
La ricerca si è posta due obiettivi: esplorare il significato contemporaneo del concetto di bene comune (in generale e nello specifico dell’associazione all’agricoltura), e di misurare la percezione dell’agricoltura come bene comune nelle dimensioni principali. Negli ultimi anni l’agricoltura è tornata alla luce dei riflettori come problema, “issue” che genera numerose domande in un’economia globale sempre più interconnessa e dipendente. Tra le tante questioni, ci sono il concetto di diritto, la dipendenza del nostro modello di benessere dalla disponibilità di energia elettrica (la guerra della Russia contro l’Ucraina ha avuto forti ripercussioni sui mercati dell’energia e dei prodotti alimentari), la fragilità dell’autosufficienza alimentare; lo iato fra questa circostanza e la crescita dell’export agroalimentare nazionale. Dall’indagine emerge fortemente che l’agricoltura è già un’idea comune e collettiva, finanche la portabandiera di una certa idea di vivere civile, ma al contempo vive di iato irrisolti, con il suo fondarsi su un bene privato, la terra; con la difficoltà di sciogliere positivamente il mantra contemporaneo dell’innovazione tecnologica; con la poliedricità delle sue manifestazioni, difficilmente riconducibili a un quadro unitario; con la sua natura bifronte di custode, rivolta al passato e di generatrice, protesa al futuro.
I risultati dello studio, condotto attraverso una serie di interviste ad esperti e attori del settore, evidenziano alcune importanti indicazioni: è solida un’idea romantica della campagna, ispirata dai canoni iconografici delle pubblicità; emerge un vissuto totalmente idealizzato: da un lato, un solido percepito di positività umanistiche; dall’altro, la consapevolezza che il benessere materiale sia il prezzo da pagare laddove ci si dedichi all’agricoltura; la sensibilità al tema della preservazione dell’ecosistema naturale è forte; l’agricoltura è centrale nella formula economica nazionale, sia nel contributo diretto alla vita dei cittadini, che nelle forme indirette di asset paesaggistico, dove però il tema della privatizzazione della terra e della presenza delle multinazionali è presente in una costante controluce problematica; fatica ad affermarsi l’idea di un’agricoltura aderente ai mantra tecnologici della contemporaneità: emerge l’idea di un’attività ancorata ai metodi tradizionali vista in chiave unicamente positiva; il luogo in cui si vive sembra influenzare l’atteggiamento verso la direzione dell’investimento in agricoltura: i cittadini puntano su temi di sostenibilità, in campagna si guarda alla produttività e all’innovazione.
L’idea condivisa è che l’anima “comune” dell’agricoltura poggi sulla sua capacità di essere una forza costantemente (ri)generatrice: di vita, di identità, di paesaggi, di benessere. All’interno del lavoro di ricerca sono state condotte dieci interviste in profondità a testimoni privilegiati del campo dell’agricoltura. Gli interlocutori sono stati selezionati sulla base della loro competenza. Le opinioni riportate disegnano un’agricoltura che appartiene certamente al perimetro del vivere collettivo, sia nella dimensione individuale, sia della mitologia collettiva - si pensi alle radici rurali delle nostre famiglie e ai riti e ricordi associati - al contempo è sottratta alla piena potestà collettiva in quanto attività economica basata sulla proprietà privata. Tra i temi individuati: la trasformazione intellettuale del sentire collettivo che l’ha interessata negli ultimi decenni; la consapevolezza che si tratti di un asset economico nazionale, fatto di potenzialità di natura collettiva oltre che privata; la sua intrinseca fragilità, sintesi delle preoccupazioni legate alla sostenibilità ambientale.
Se per il consumatore l’idea di agricoltura come bene comune si lega al diritto di avere cibo sano e nutriente ad un prezzo accessibile, per l’agricoltore è una fonte di reddito. Tutti gli intervistati reputano che l’agricoltura possa essere considerata un bene comune nella sua accezione di paesaggio, cultura e identità in primis, ma fanno dei distinguo se si parla di agricoltura come bene materiale, per esempio il raccolto, che rimane privato. L’agricoltura italiana vive di campanilismi, mentre le responsabilità, intese come esternalità negative, per ora rimangono “non condivise”. Il contesto che abbiamo vissuto negli ultimi anni - pandemia e guerra - ha evidenziato l’importanza dell’agricoltura anche in termini di approvvigionamento delle risorse primarie, ponendo questo tema nell’agenda dei cittadini come prioritario. Ma, per far percepire l’agricoltura come bene comune, bisogna ragionare nel lungo periodo: bisogna cambiare l’immaginario collettivo.
Il crescente interesse verso la sostenibilità può aiutare il percorso di consapevolezza del binomio agricoltura e bene comune nella collettività. La strada giusta è quella che fornisce agli agricoltori strumenti e fondi per impattare meno: a questo devono servire la ricerca e i finanziamenti. Non è, invece, corretto, per gli intervistati dall’indagine “L’agricoltura italiana come bene comune”, condotta dall’Istituto Eurispes e realizzata in collaborazione con Confagricoltura, caricare sull’agricoltore il costo del suo impatto ambientale. Stando ancora alle opinioni emerse dall’indagine, infine, per avvicinare la comunità all’agricoltura come bene comune bisogna educare la collettività, dagli studenti delle scuole agli studenti universitari. Bisogna far tornare “quotidiana” l’agricoltura ed è importante che ci sia solidarietà di intenti e di linguaggi tra vari attori. La comunicazione deve avvenire in un processo preferibilmente bottom-up e nella maniera meno mediata possibile. Tra i messaggi da comunicare: le best practice, la diversità come bene da tutelare grazie all’agricoltura, l’innovazione e la sostenibilità.
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