Una coltivazione se vogliamo “atipica”, ma che vanta una grande tradizione in Italia, Puglia e Sicilia ma non solo, e che, nonostante non sia molto diffusa, trova numerosi canali di sbocco, dall’industria farmaceutica a quella alimentare. Parliamo della salicoltura marina che punta a diventare pratica agricola riconosciuta. In Italia sono presenti oltre 10.000 ettari di saline marine, con una produzione annua di 1,2 milioni di tonnellate di sale (corrispondenti a poco meno del 30% della produzione totale), per un valore di oltre 60 milioni di euro. “Stiamo definendo una proposta di legge che fissi i criteri normativi di massima per assimilare la salicoltura marina con l’attività agricola. Il dialogo con il Governo, che abbiamo avviato procede in questa direzione”. A dirlo è Filippo Schiavone, componente della Giunta nazionale di Confagricoltura, a Margherita di Savoia, dove, nei giorni scorsi, si è svolta la seconda tappa del progetto “L’agricoltura coltiva il sale”, curato da Confagricoltura con le saline marine italiane.
Una tappa che accompagna il lavoro finalizzato al riconoscimento della coltivazione del sale marino come attività agricola, con una normativa mirata in tal senso. Il piano vede protagoniste, spiega Confagricoltura, oltre alla Confederazione, le società di gestione delle Saline di mare italiane Atisale Spa (Puglia e Sardegna), Sosalt Spa e Isola Longa in Sicilia, Saline Ingegner Luigi Conti Vecchi in Sardegna, e il Parco della Salina di Cervia in Emilia-Romagna. Ai soggetti firmatari si aggiungono inoltre, come sostenitori, le saline di Trapani Oro di Sicilia, Ettore e Infersa e Isola di Calcara. “Ci sono tutte le condizioni perché questo progetto possa essere portato avanti a livello nazionale insieme ai colleghi delle altre Regioni - ha detto Gianluca Nardone, direttore Assessorato all’Agricoltura della Puglia -. Le saline potrebbero inoltre essere valorizzate attraverso il Psr”. L’Italia vanta anche un primato importante. “A Margherita di Savoia si trova la più grande salina d’Europa: 4.500 ettari, 500.000 tonnellate di sale prodotte annualmente, un centinaio di addetti che arrivano a 400 con l’indotto. La salina - ha spiegato il presidente di Atisale Spa, Bruno Franceschini - è riconosciuta come Riserva nazionale naturale ed è una realtà fortemente innovativa nel processo di produzione”. Per Ciro Zeno, capo progetto, “l’attività di salicoltura marina è assimilabile a quella agricola per molti aspetti: l’uso del suolo e dell’acqua, la ciclicità della produzione legata ai fenomeni della natura e delle stagioni, la dipendenza dalle condizioni climatiche, i macchinari utilizzati e, soprattutto, il lavoro dell’uomo. A questi risvolti si aggiungono quelli economici, poiché la pratica della salicoltura genera e mantiene l’ecosistema e la biodiversità, e definisce i caratteri di ruralità dei territori interessati, valorizzandone anche il turismo”.
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