Sono nelle scuole italiane, statunitensi e di tutto il mondo. Sono nelle campagne e nei villaggi africani. Sono terapeutici, urbani, sociali, conviviali, scolastici, collettivi, all’interno di contesti detentivi, di strutture ospedaliere, e altro ancora: sono gli Orti di Slow Food, progetto rivoluzionario che ha celebrato 20 anni con un panel di compleanno al Terra Madre Salone del Gusto 2024 (che si chiude, oggi, a Torino), in cui è stato spiegato esattamente che cosa comporta e come si fa un orto, con tutti i suoi risvolti.
“Il fisico Federico Faggin ha detto che la coscienza è quello che ci permette di creare significati e i significati che noi mettiamo dentro agli orti si riassumono con il claim di questa edizione del festival, “We Are Nature”, perché l’orto fa dialogare con la natura e con i suoi spazi, ritagliati in vari scenari diversi - ha detto la presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini - quando abbiamo cominciato ci credevamo molto e dopo 20 anni possiamo dire che è grazie all’orto che si può insegnare ed esprimere un’altra idea di mondo che esca dalla logica del profitto e punti sul biologico”.
Al Terra Madre è stato ribadito più volte in questi giorni: l’agricoltura oltre che buona, pulita e giusta, è anche sociale, e gli orti sono spazi dove non crescono soltanto pomodori, zucchine o lattughe, ma anche l’inclusione e dove si coltiva benessere, perché sporcarsi le mani di terra può far bene alla mente, all’anima, al corpo, anche dei giovanissimi. “A scuola la didattica sul cibo non esiste e noi ci siamo presi questo spazio con gli orti - ha spiegato Annalisa D’Onorio, del gruppo educazione di Slow Food Italia e referente sul progetto orti - ogni anno scegliamo un tema su cui concentrarci e l’anno scorso era lo spreco alimentare: gli insegnanti li formiamo attraverso un approccio olistico e parliamo dei danni del buttare via il cibo, ai bambini invece parliamo del concetto di conservazione. Vogliamo che sperimentino, sbaglino e assaggino”. La funzione pedagogica è fondamentale, lo ha spiegato Cristina Bertazzoni, consulente e formatrice in ambito scolastico: “l’orto è un’esperienza vitale perché si mettono le mani direttamente nelle cose, si fanno esperienze autentiche e significative, si impara a ragionare. Produce sapere e consapevolezza. L’orto è una rivoluzione che mette al centro un nuovo modo di fare scuola: non chiusa, artificiale, asettica, ma aperta. Si impara a prendersi cura di ciò che c’è a disposizione, di guarirlo se qualche prodotto ha dei problemi e poi vedere il risultato sbocciare”.
Importante è anche la figura del formatore: “noi non dobbiamo essere gli attori principali, dobbiamo solo essere di supporto sia ai docenti che agli alunni - ha spiegato Michele Romano, trainer per la Chiocciola - l’insegnante non deve fare l’orto, ma deve usarlo per fissare meglio gli elementi che i bambini studiano in classe e dare più valore alle lezioni. Un aneddoto: una bambina dopo aver coltivato piselli in un orto scolastico, non aveva voglia di mangiarli anche la sera a casa a cena. La mamma stava quindi per buttarli nel cestino, la bimba l’ha fermata dicendole che sarebbe stato un errore visto quanto tempo si impiega a coltivarli. Il lavoro dei bambini negli orti scolastici deve arrivare anche alle famiglie: una contaminazione con cui poi si arriva a fondare gli orti di comunità”.
Perché gli Orti di Slow Food, infatti, non sono solo quelli scolastici, si estendono a tanti altri contesti: comprendere il significato del termine biodiversità, costruire un corretto rapporto col cibo e capire l’importanza di preservare le risorse necessarie e comuni, è importante non solo per i bambini. È il caso del carcere di Saluzzo, in provincia di Cuneo, dove dieci detenuti scontano la pena lavorando in un orto, realizzato in un’area aperta della casa circondariale prima inutilizzata, mentre a Spinazzola, nella provincia di Barletta-Andria-Trani, esiste un orto gestito da alcuni pazienti della Comunità riabilitativa assistenziale psichiatrica (Crap) della città. E ancora: nell’orto sociale e didattico per soggetti autistici “Tutti giù per terra”, a Quiliano, in provincia di Savona, lavorano persone con disturbo dello spettro autistico, e, tra meloni, pomodori, sedani, zucche, broccoli e cavoletti di Bruxelles, non mancano piante di albicocche, rigorosamente di Valleggia, Presìdio Slow Food. C’è anche un orto in corsia, quello avviato nell’ospedale pediatrico Salesi di Ancona. L’idea, spiega Roberto Rubegni, presidente della condotta marchigiana, è semplice: “le piantine hanno bisogno di qualcuno che le curi: farlo in un ospedale ha effetto benefico sul benessere psicologico dei bambini e delle loro famiglie”.
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