Mercati a rilento, sia a livello nazionale che all’export, soprattutto per i vini rossi, cantine piene un po’ ovunque, come testimoniano anche le giacenze rilevate da “Cantina Italia” by Icqrf (39,8 milioni di ettolitri al 30 luglio 2025, +0,5% sullo stesso periodo 2024, anno che seguiva, però, una vendemmia 2023 particolarmente scarsa, ndr), calo strutturale dei consumi, salutismo e così via, stanno portando alla consapevolezza che è necessario, non ovunque, ma in molti territori, ridurre la produzione di vino in Italia. Non solo in vista della vendemmia 2025 che sta partendo e che si annuncia quanto meno non scarsa, ma in maniera strutturale, per non avere troppo eccesso di prodotto e veder di conseguenza crollare i prezzi e la sostenibilità economica della filiera. È il ritornello che si sente, in questi ultimi mesi, in ogni occasione istituzionale e di confronto, nazionale o locale, sul futuro del vino italiano. Ma se per mettere a terra piani strutturali serve tempo, intanto, le denominazioni si muovono nel breve termine. E se molte, già da tempo, hanno preso contromisure per contenere la produzione (come avevamo raccontato qui), tra quelle più blasonate del vino italiano, per valore dei vini, dalle Langhe di Barolo e Barbaresco alla Valpolicella dell’Amarone e non solo, fino alla Toscana di Bolgheri, Brunello di Montalcino, Chianti Classico e Nobile di Montepulciano (ma anche del Chianti, la più grande denominazione rossista regionale), si va in ordine sparso, almeno sul fronte delle rese vendemmiali, tra chi le taglia per un anno, chi lo fa su un arco pluriennale, e chi invece no.
Partendo dal Piemonte, dunque, “ad oggi non è previsto nessun taglio per le rese di uva per ettaro per Barolo e Barbaresco (in entrambi i casi fissata da disciplinare a massimo 80 quintali per ettaro, ndr) - spiega, a WineNews, il direttore del Consorzio di Barolo Barbaresco Alba Langhe Dogliani, Andrea Ferrero - mentre abbiamo deliberato una riduzione del 10% su Langhe Nebbiolo e Barbera d’Alba, ma non perché ci siano particolari problemi di mercato, quanto per accompagnare la crescita tutelando i valori, visto che soprattutto il Langhe Nebbiolo sta crescendo rapidamente, sia come produzione che a livello di vendite”.
Strada completamente diversa, invece, in Veneto, quella scelta dal Consorzio Vini Valpolicella, guidato da Christian Marchesini, che tutela una delle denominazioni su cui insistono vini importanti come l’Amarone, in primis, ma anche Valpolicella, Ripasso e Recioto. “Abbiamo deliberato un taglio di resa di uva per ettaro di 10 quintali, passando da 110 a 100 per i prossimi tre anni - spiega, a WineNews, Marchesini - mentre a livello di tavolo di cernita per la produzione di Amarone non abbiamo introdotto ulteriori limitazioni. L’obiettivo è mantenere la denominazione in equilibrio e difendere i valori in una fase di mercato incerta come quella che ci troviamo davanti”. Un tema al centro anche dell’incontro del Comitato prezzi della filiera, che riunisce i rappresentanti delle aziende viticole e le organizzazioni di categoria, in programma, domani, 27 agosto, al Consorzio, per discutere e delineare strategie comuni per affrontare un contesto macroeconomico complesso, tra dazi e calo dei consumi su scala globale. “Difendere la sostenibilità economica della filiera - afferma Marchesini - significa continuare a governare l’offerta, in un momento in cui il mercato chiede sempre più selezione. Abbiamo il dovere di proteggere il valore del lavoro dei nostri viticoltori e delle nostre cantine”. Accanto alla gestione produttiva, il Consorzio Vini Valpolicella rafforzerà ulteriormente le attività promozionali sui mercati target, Italia compresa. “La Valpolicella - prosegue Marchesini - può, infatti, rispondere alle nuove tendenze di consumo con vini freschi, più leggeri, serviti a basse temperature. Una evoluzione che punta a salvaguardare anche il valore dei nostri vini”.
In Toscana, invece, sono diverse le strategie dei diversi consorzi. A Bolgheri, per esempio, fa sapere il Consorzio, guidato da Albiera Antinori e diretto da Daniele Parri, la denominazione è in equilibrio e non sono previsti tagli di resa (fissata da disciplinare a 90 quintali per ettaro per il Bolgheri Rosso, e a 80 per il Rosso Superiore, ndr) per una vendemmia 2025, che ha visto raccogliere i primissimi grappoli, ma che ancora deve entrare nel vivo.
A Montalcino, terra del Brunello e del Rosso, invece, il Consorzio del Brunello di Montalcino ha deciso di diminuire da 80 a 70 quintali, escluso il primo ettaro, la resa del Brunello. Una scelta fatta sia sulla base di quella che è la situazione internazionale sui mercati, per la vendita delle bottiglie di Brunello, che per quanto riguarda alcuni fattori prettamente di carattere viticolo ed enologico. “Ci sono state varie discussioni - racconta Giacomo Bartolommei, presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino - ma abbiamo deciso di abbassare la resa da 80 a 70 quintali (ad eccezione del primo ettaro, per consentire alle piccole realtà di non disperdere la loro capacità produttiva). La decisione è stata approvata in Assemblea del Consorzio ed è stata ratificata a fine luglio dalla Regione Toscana. È una misura che mettiamo in atto ormai da 20 anni, la rivediamo in base alle annate, gestendo la giacenza totale dei vini delle nostre denominazioni. Quest’anno, per effetto dell’aumento della superficie produttiva di Rosso, non ci sarà la possibilità di sfruttare la riduzione di resa per rivendicare il Rosso di Montalcino. È l’unica differenza rispetto agli anni precedenti”. Quanto è accaduto sui mercati mondiali nell’ultimo anno ha influenzato la decisione finale del Consorzio: “per noi riequilibrare l’offerta è importante - spiega Bartolommei - ma cerchiamo anche di migliorare la qualità delle uve che portiamo in cantina: la situazione internazionale ha sempre il suo peso, valutiamo quelli che sono i vari effetti e le medie degli ultimi cinque anni di produzione, se riteniamo che dobbiamo andare a disciplinare o lasciare tutto com’è”.
Una strada simile la percorre il Consorzio del Chianti Classico, guidato da Giovanni Manetti, che, a WineNews, racconta: “il Consorzio ha deliberato la riduzione di 10 quintali della resa di uva per ettaro, passando da 75 a 65, ed è una decisione che, in Assemblea, è stata approvata all’unanimità, ed è un aspetto importante da sottolineare. Ad oggi grandi difficoltà di mercato non ci sono, anzi se guardiamo i dati cumulati degli ultimi 5 anni, produzione e vendite sono in equilibrio, non abbiamo particolari problemi di eccedenze. Ma abbiamo voluto giocare di anticipo, viste le tensioni di mercato che, in generale, inevitabilmente ci sono per mille fattori, con i produttori che hanno condiviso la scelta di fare un sacrificio sulla quantità prodotta, per sostenere la denominazione e mantenere in equilibrio i prezzi”.
Nessuna modifica alle rese, invece, a Montepulciano, “perla” del Rinascimento e terra del Vino Nobile e del Rosso di Montepulciano: “non abbiamo in programma tagli di rese (80 quintali per ettaro per il Nobile, 100 per il Rosso, da disciplinare) e non abbiamo deliberato nulla in questo senso. Viviamo come tutti il nervosismo dei mercati e la questione dei dazi in Usa, ma la denominazione è in equilibrio”, sottolinea il direttore del Consorzio del Vino Nobile, Paolo Solini.
Mentre, guardando alla denominazione rossista più grande delle regione, il Chianti Docg (3.600 ettari e 75 milioni di bottiglie vendute ogni anno, ndr) ha, da tempo, confermato anche per il 2025 il taglio delle rese nella misura del 20% (rispetto ai 110 quintali per ettaro per il Chianti Docg, da vigneti con impianti con densità superiore a 4.000 ceppi per ettaro, da disciplinare, ndr).
Strade diverse, dunque, quelle percorse dalle diverse denominazioni, che riflettono sì la varietà di visioni e situazioni che ogni territorio porta in seno, ma anche l’incertezza di un periodo, quello che vive il mercato del vino, tra situazioni contingenti e cambiamenti strutturali, per affrontare il quale ognuno naviga un po’ a vista, nella speranza di percorrere il sentiero giusto, in attesa di tempi migliori.
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