Anche il mondo del vino italiano ha le proprie “ingiustizie” Un esempio? Il Chianti Classico. La denominazione del Gallo Nero è proiettata da tempo e con tutti i propri mezzi ad avere quel riconoscimento che tutti le attribuiscono, con puntualità o in ritardo, ma che il mercato impedisce di vedere chiaramente. Eppure la qualità dei vini prodotti tra le Province di Siena e Firenze, a guardare almeno gli ultimi trenta anni, non è stata mai così elevata. Nel panorama sfarzoso del vino italiano, legato solitamente a denominazioni dal potenziale produttivo medio-piccolo, quando si parla di alta qualità, non esiste una Doc/Docg che, producendo intorno ai 35 milioni di bottiglie, riesca a vendere etichette con una qualità media così alta. Si potrà obbiettare che esiste ancora una presenza ingombrante, peraltro tutta nei mercati internazionali e non solo tra gli scaffali dei mercati più improbabili, di Chianti Classico prodotti non si sa mai bene da chi e a prezzi decisamente da discount. Ma i numeri, anche in questo caso, stanno parlando con la loro abituale chiarezza di altro e in modo confortante. Su oltre 600 aziende (di cui 300 imbottigliatrici), il 70% del vino Gallo Nero è movimentato da 40 cantine e l’80% dei vini è imbottigliato in zona. Ancora secondo i dati del Consorzio, l’incidenza valoriale delle tipologie Riserva e Gran Selezione è arrivata a contare insieme il 37% dei volumi e il 52% del fatturato. Ecco è questa la direzione giusta per il Chianti Classico. E non si tratta soltanto di un accrescimento dei profitti aziendali, ma anche di un rafforzamento di tutta una denominazione e di tutto un territorio, a richiamare il senso più proprio di un vero e proprio “distretto” economico.
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