
Dopo quelli con il Canada e il Messico, e quello con la Cina, tra conferme, minacce e sospensioni varie, gli Usa aprono ufficialmente, o meglio riaprono, anche il fronte Ue della guerra dei dazi, partendo da acciaio e alluminio. In queste ore, infatti, sono entrati in vigore i dazi doganali voluti dagli Usa, al 25%, su acciaio e alluminio provenienti dall’estero, Ue inclusa, che ha annunciato una risposta “forte ma proporzionata”. In particolare, spiega la Commissione Ue, che si dice “rammaricata” dalla decisioni di tali tariffe, “considerandole ingiustificate, perturbative per il commercio transatlantico e dannose per le imprese e i consumatori, che spesso si traducono in un aumento dei prezzi”, la risposta europea sarà articolata in due fasi. “In primo luogo, la Commissione lascerà scadere il 1 aprile 2025 la sospensione delle contromisure esistenti del 2018 e del 2020 nei confronti degli Stati Uniti. Queste contromisure riguardano una serie di prodotti statunitensi che rispondono al danno economico arrecato a 8 miliardi di euro di esportazioni di acciaio e alluminio dell’Ue. In secondo luogo, in risposta ai nuovi dazi statunitensi che interessano oltre 18 miliardi di euro di esportazioni dell’Ue, la Commissione presenta un pacchetto di nuove contromisure sulle esportazioni statunitensi. Entreranno in vigore entro la metà di aprile, previa consultazione degli Stati membri e delle parti interessate”.
In totale, le contromisure dell’Ue potrebbero quindi applicarsi alle esportazioni di merci statunitensi per un valore fino a 26 miliardi di euro, in linea con la portata economica dei dazi statunitensi. Nel frattempo, l’Ue, spiega la Commissione, “rimane pronta a collaborare con l’amministrazione statunitense per trovare una soluzione negoziata. Le misure di cui sopra possono essere revocate in qualsiasi momento qualora si trovasse una soluzione di questo tipo”. Ma quello che si teme veramente è un’ulteriore escalation su altri settori, a partire dalle auto, come annunciato dallo stesso Trump nei giorni scorsi, che saranno in vigore dal 2 aprile, compresi quelli legati al cibo, all’agricoltura e al vino (qui la lista dei prodotti che potrebbero essere colpiti dai dazi Usa, pubblicata dalla Commissione Ue).
E proprio sul vino, che nel 2024 ha registrato per l’Italia il record dell’export, a 8,1 miliardi di euro (+5,5% sul 2023, secondo i dati Istat definitivi analizzati da WineNews), soprattutto grazie alla crescita in Usa, per 1,9 miliardi di euro (+10,2%), torna ad alzare l’allerta l’Unione Italiana Vini - Uiv guidata da Lamberto Frescobaldi. “Il danno per il vino italiano con l’ipotesi dazi al 25% potrebbe essere di circa 470 milioni di euro solo per gli effetti diretti della domanda Usa, senza contare quelli indiretti sull’export globale che spostano il conto a quasi 1 miliardi di euro”, ribadisce Uiv, in un’analisi del suo Osservatorio sugli impatti delle nuove tariffe annunciate dall’amministrazione Trump per l’agricoltura europea, ritenendo pericoloso l’assunto che i nostri vini - in quanto “italiani e di lusso” - non corrano rischi di ridimensionamento da parte della domanda a stelle e strisce (come si legge tra le righe anche nelle parole del Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, nella nostra intervista in relazione a tutto il made in Italy agroalimentare). Secondo Uiv, almeno l’80% del vino italiano rischia infatti un vero e proprio salto nel buio: è quello che costituisce l’ossatura delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti e che cuba ben 2,9 milioni di ettolitri (su un totale di 3,6 milioni). Quasi 350 milioni di bottiglie di vino tricolore che sono concentrate nelle fasce “popular”, equivalenti a un prezzo franco cantina di 4,18 euro/litro e che al dettaglio si trasformano in media - dopo trasporto, dazi, ricarichi alla distribuzione - in una fascia di prezzo che non supera i 13 dollari la bottiglia. Su un’altra dimensione viaggiano i vini luxury, che riguardano, peròm una quota del 2% sul totale export a volume (8% del valore) e che possono tutto sommato essere meno soggetti a riduzioni di acquisto.
“Il vino italiano negli Usa, che vale circa 2 miliardi di euro con una quota del 24% sul totale mondo delle nostre spedizioni, è composto da prodotti fortemente identitari - commenta il presidente Uiv, Lamberto Frescobaldi - che, unitamente a un vincente rapporto qualità-prezzo, hanno contribuito al successo del made in Italy enologico. La spina dorsale - al netto dei vini bandiera - è questa e rappresenta primariamente un posizionamento di fascia media, con possibili fluttuazioni di prezzo dettate dai dazi che espongono l’offerta a possibili migrazioni della domanda. Secondo Uiv - ha aggiunto Frescobaldi - è molto importante poter agire con un “piano di contingenza” basato su 3 livelli: il primo, negoziale, volto a non inserire il vino nelle reciproche liste di prodotti soggetti a barriere commerciali; il secondo, comunitario, che metta a punto misure compensatorie e di promozione; il terzo è nazionale e dovrà inevitabilmente affrontare il tema del contenimento produttivo”.
Secondo l’Osservatorio Uiv, i dati ufficiali dicono che la media di prezzo export verso gli Usa è di 5,35 euro per litro per il vino italiano, ma solo il 30% dei “popular” è tutto sommato allineato (5,26 euro), mentre oltre la metà è ben sotto soglia (3,53 euro). Tariffe supplementari del 25%, non gestite in equità tra le controparti, finirebbero per sbalzare questi vini sulla fascia immediatamente superiore, la “premium”. In pratica il grosso delle produzioni tricolori: dal Pinot Grigio al Prosecco, dal Chianti al Lambrusco, dal Moscato d’Asti ai vini siciliani, a quelli della stragrande maggioranza delle regioni italiane. Il segmento premium che oggi vale il 17% volume del totale export (con prezzo medio franco cantina di 8,80 euro/litro e price point al dettaglio variabile da 13 fino a 30 dollari la bottiglia), non sarebbe ovviamente in grado di assorbire travasi “epocali” di referenze provenienti dal basso.
Copyright © 2000/2025
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025