Il Covid ha “potenziato” anche il fenomeno della contraffazione: secondo i dati dell’Agenzia delle Dogane, nel 2020 sono stati effettuati 22.091 controlli, per oltre 12,9 milioni di pezzi sequestrati, il +262% sull’esercizio precedente, per un valore di 5,1 miliardi di euro. Nel settore dell’Italian sounding sono state sequestrate 2,2 tonnellate di merce e irrogate sanzioni per 20 milioni. E, se la gran parte della contraffazione va sotto la categoria generica “altre merci”, secondo la Coldiretti è arrivato ad oltre 100 miliardi di euro il valore del falso wine & food made in Italy, a causa della crisi economica scatenata alla pandemia con un mercato del cibo tarocco che “prolifera nei momenti di difficoltà delle aziende italiane e ha già raggiunto valori preoccupanti”.
“Per colpa del cosiddetto “italian sounding” nel mondo - stima la Coldiretti - più due prodotti agroalimentari Made in Italy su tre sono falsi senza alcun legame produttivo ed occupazionale con il nostro Paese. Con la lotta al falso Made in Italy a tavola si possono creare ben 300.000 posti di lavoro in Italia. Serve dunque una efficace azione di contrasto a livello internazionale ma anche un maggiore impegno nei negoziati di libero scambio dell’Unione Europea per tutelare il made in Italy”.
“A taroccare il cibo italiano - evidenzia la Coldiretti - sono soprattutto i Paesi emergenti o i più ricchi dalla Cina all Australia, dal Sud America agli Stati Uniti. Negli Usa il 99% dei formaggi di tipo italiano sono “tarocchi” nonostante il nome richiami esplicitamente le specialità casearie più note del Belpaese, dalla Mozzarella alla Ricotta, dal Provolone all’Asiago, dal Pecorino Romano al Grana Padano, al Gorgonzola. Ma sul mercato dell’Italian sounding si è buttata anche la Russia dove l’embargo ai prodotti italiani per il braccio di ferro con l’Unione europea ha favorito la nascita e la proliferazione di brutte copie russe del made in Italy. Fra le brutte copie dei prodotti caseari nazionali nel mondo, in cima alla classifica c’è la mozzarella, seguita dal Parmesan, dal provolone, dalla ricotta e dal Romano realizzato però senza latte di pecora. La pretesa di chiamare con lo stesso nome prodotti profondamente diversi è inaccettabile e rappresenta un inganno per i consumatori ed una concorrenza sleale nei confronti degli imprenditori”.
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