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CONGRESSO ASSOENOLOGI - IL CLIMA CHE CAMBIA? ORMAI È UNA COSTANTE, MA DA RISCHIO PUÒ DIVENTARE POSSIBILITÀ DI MIGLIORARE PER CHI PRODUCE VINO. LE TESTIMONIANZE DEGLI ESPERTI: IL PROFESSOR MARIANI (UNIVERSITÀ DI MILANO) E L’ENOLOGO RICCARDO COTARELLA

Italia
Il clima che cambia può essere gestito

Nulla è più costante del cambiamento, recita una massima buddista. Concetto che vale in pieno soprattutto per il cambiamento climatico, tema di stringente attualità e che desta non poche preoccupazioni e allarmismi. “Eppure il clima che cambia non ha per forza effetti negativi: è un fatto con cui dobbiamo convivere e che dobbiamo affrontare in modo positivo, come l’agricoltura ha sempre fatto - ha spiegato ad Assoenologi il Luigi Mariani, docente di Agrometeorologia dell’Università degli studi di Milano - e senza paure e falsi miti. L’effetto serra da tanti temuto, per esempio, è quello che permette al pianeta di non finire in glaciazione, e per il 75% è dovuto a nuvole di vapore e acqua, e non alla Co2. Che, per altro, non è un veleno tout court, ma fondamentale per le piante, e anche per la vite. Nondimeno il cambiamento climatico c’è, dal 1987, secondo dati inconfutabili, la temperatura è cresciuta di 1,5 gradi, che è tanto per l’agricoltura. Ma in Francia, per esempio, sono stati contenti in molti per l’effetto che ha avuto sulla vite, che hanno consentito di ridurre ed eliminare, per esempio, l’importazione dei vini da taglio”.

“Già, perché se gestito bene, con la ricerca scientifica, la sperimentazione e il coraggio di cambiare nel presente e nel futuro, senza tradire le proprie radici, il clima che cambia, da rischio diventa solo una delle variabili su cui intervenire per ottenere buoni risultati, anche migliori di prima, nel vino”, ha spiegato l’enologo Riccardo Cotarella. “Abbiamo condotto un esperimento in vigna e in cantina con l’Università della Tuscia di Orvieto e l’Università Politecnico delle Marche: modificando sistema di potatura, per esempio, siamo riusciti a risolvere alcuni dei problemi dovuto al riscaldamento climatico, ritardando per esempio la maturazione troppo accelerata delle uve nel modo desiderato, con effetti positivi sulla concentrazione zuccherina, l’acidità, la capacità di invecchiamento e le qualità gustative. Un modello che non può valere per tutti, ogni anno ed ovunque, ma il risultato che il cambiamento climatico, almeno in parte, può essere gestito, se misurato, monitorato e studiato, è una realtà che va fatta partecipe del processo lavorativo. Insomma, in vigna serve più scienza e meno esibizionismo”.

Anche in cantina l’innovazione tecnologica non deve essere vista come un “demone”, ma come un’alleata importante: “con la microbiologia, per esempio, con lo studio e l’utilizzo di lieviti diversi e altre pratiche studiate, si possono compensare problemi portati dallo stato delle uve dovuto al caldo, con effetti importanti sulla qualità del vino”, ha aggiunto Giuliano d’Ignazio, direttore tecnico della cantina marchigiana Terre Cortesi Moncaro.

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