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Congresso Assoenologi - “La complessità aromatica fa grande un vino, grazie a una percezione celebrale “inconsapevole”. Per questo è necessario conservarla e valorizzarla, in vigneto e in cantina”. A dirlo Philippe Darriet dell’Università di Bordeaux

“L’elevata qualità di un vino è sancita dalla complessità del suo profilo aromatico e oggi, di fronte ai cambiamenti climatici che spingono sull’aumento dell’alcolicità e sulla diminuzione dell’acidità, che impatta sulla freschezza e la capacità di invecchiamento, dobbiamo trovare nuovi paradigmi di vinificazione che preservino gli aromi”. Così Philippe Darriet, direttore dell’Unità di Ricerca in Enologia dell’Istituto della Vigna e del Vino dell’Università di Bordeaux, nel Congresso di Assoenologi a Verona (www.assoenologi.it).
“La percezione sensoriale di un vino - ha spiegato lo studioso francese - dipende da componenti volatili che stimolano il nostro olfatto. I vini di alta fascia hanno una maggior quantità di composti, una maggior complessità, e questo viene inconsapevolmente percepito dal cervello. Inoltre ci sono alcune classi di sostanze che vengono percepite maggiormente ed esistono alcune sinergie tra composti che potenziano e caratterizzano il bouquet”.
Gli aromi del vino dipendono da diversi fattori, quali il vitigno, il terroir, il clima, che sta cambiando, e le scelte sia viticole sia enologiche. Circa le varietà è in atto a livello globale che la scelta si sta concentrando su alcune cultivar, come il Cabernet Sauvignon e lo Chardonnay, e ciò comporta un grande rischio di standardizzazione dei vini. Si registra un impegno diffuso alla riduzione degli input chimici: a livello viticolo, e, in particolare, per quanto riguarda la sanità delle uve, “si può diminuire l’uso dei fungicidi - ha osservato Darriet - ma è difficile rinunciarvi completamente, e per ora le varietà resistenti disponibili hanno il limite di un profilo sensoriale non del tutto simile a quelle tradizionali, mentre a livello enologico più che puntare alla sostituzione dell’anidride solforosa con altre sostanze chimiche è necessario usarla in quantità inferiori e meglio”.

Se il contributo della qualità dell’uva, e in particolare del suo grado di maturazione, è determinante per la presenza dei precursori d’aroma che saranno responsabili della complessità del vino, la tecnica enologica, con la scelta dei lieviti, delle chiusure e l’uso dei legni, dà un contributo notevole.
“I protocolli di vinificazione devono puntare a una qualità costante nelle diverse annate, base solida per una buona commercializzazione - ha continuato Darriet - e a un buon potenziale di invecchiamento per i vini che se ne giovano. La qualità intrinseca di un vino parte dall’impatto olfattivo, che deve essere nitido, identitario e complesso. La complessità consente al vino di non divenire “noioso” nell’invecchiamento e di mantenere la propria identità”.
A proposito della tipicità, molto importante è che chi degusta i vini sia in grado di riconoscerla e premiarla. Negli anni 2000, infatti, grazie ad alcuni test di psicologia cognitiva, che mettevano a confronto le note di degustazione di esperti, è stato evidenziato che alcuni non descrivevano i vini a loro sottoposti, ma li rapportavano a vini presenti nella propria “biblioteca mentale personale” di degustazione. La formazione dei degustatori è quindi fondamentale.
Dunque, molteplici sono gli aspetti che condizionano la qualità, dalle condizioni di maturazione delle uve, alle modalità di vinificazione e l’invecchiamento del vino, fino alla percezione sensoriale. “Per preservare gli aromi - ha sottolineato il ricercatore francese - bisogna tenere presente che i livelli di percezione sono diversi da persona a persona e, soprattutto, che ci sono delle sostanze che anche se presenti sotto il livello minimo comunque danneggiano il profilo aromatico del vino. È il caso, per esempio, dei composti prodotti dal Brettanomyces che maschera le note fruttate nei vini rossi e che per questo va tenuto sotto controllo opportunamente con l’anidride solforosa”.

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