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COSA SIGNIFICA VITIGNO AUTOCTONO? CINQUE FRA I PIU’ IMPORTANTI ENOLOGI DEL PANORAMA NAZIONALE AFFRONTANO IL TEMA CHE INTRODUCE LA PROSSIMA KERMESSE ENOLOGICA NAPOLETANA “VITIGNO ITALIA”

Italia
Una suggestiva immagine di vigneti italiani

“Il tema è complesso e difficile, in questi ultimi tempi se ne stanno dicendo di tutti i colori - spiega l’enologo toscano Carlo Ferrini, che firma molti dei vini più premiati del panorama enologico italiano - ci sono uve importanti con le quali si possono fare vini importanti in tutte le regioni e territori caratterizzati dalla presenza di un vitigno in particolare. Ma l'importante è partire dal progetto aziendale. Mi chiedo, ad esempio, qual è il vitigno autoctono di Bolgheri, il Cabernet Sauvignon?”. In effetti, è difficile poter stabilire con precisione il significato dell’espressione vitigno autoctono, e per Franco Giacosa, enologo piemontese di fama internazionale: “Il termine autoctono non è appropriato, credo che un vitigno possa essere considerato autoctono quando è tradizionalmente legato al territorio”.
Tradizionalmente legato al territorio significa per Lorenzo Landi, enologo toscano del gruppo Saiagricola, che: “Un vitigno è stato modificato nel corso della sua coltivazione in un territorio, a tal punto da aver maturato caratteristiche peculiari”. A Luigi Moio, forse il nome più noto dell’enologia campana, non è mai piaciuta la definizione di “autoctono”, anche perché “Non coincide necessariamente con uve buone. Anzi - spiega - quando ci si dedica alle uve locali dobbiamo dire che si corrono molti rischi, si lavora in una situazione di sperimentazione permanente. Il punto è, avendo la bordolesizzazione come parametro, queste uve consentono di fare vini secondo questo modello o no? Per me è autoctono quel vitigno che riesce a sovrapporre la sua identità varietale su una identità territoriale”. Per Angelo Valentini, enologo umbro che nel 1980 ha nominato Papa Giovanni Paolo II sommelier onorario, la questione è senza dubbio più generale visto che “I vitigni autoctoni sono stati distrutti quasi tutti dalla fillossera e sostituiti da varietà più produttive. Ora si avverte nuovamente il bisogno di tornare all'identità perché non c'è più una esigenza nutrizionale ma culturale”.
Ma dal punto di vista tecnico e dal versante della ricerca cosa si è fatto in Italia per i vitigni autoctoni? “In Italia stiamo appena iniziando a studiare, sinora un lavoro scientifico e completo è stato fatto solo nella zona del Chianti con la clonazione - spiega Carlo Ferrini - Sinora si è proceduto un po' a naso. Il problema vero è studiare, in ogni azienda, la soluzione migliore per ottenere qualità, e alla luce del risultato ottenuto, confrontarsi con il mercato”. Il problema vero è capire il vitigno. “In Francia ci sono 200 anni di storia - dichiara Franco Giacosa - e per recuperare il ritardo da questo punto di vista bisogna studiare ancora molto i cloni, i sistemi di allevamento ... . Io credo che ogni uva autoctona sia una grande risorsa, una fonte di biodiversità. Bisogna selezionare, lavorare bene, capire. I vitigni internazionali sono buoni per fare grandi vini e sono stati importanti in passato, quando l'Italia non esisteva nel mondo vitivinicolo di qualità. Ora siamo in una fase diversa, nuova. La Toscana è un ottimo esempio”.
In effetti, i vitigni internazionali hanno dalla loro anche una certa facilità di coltivazione e studi sul loro comportamento fisiologico ormai assodati. Per affrontare gli autoctoni, invece, “bisogna studiare i cloni, anche se molto materiale genetico è andato perso, ma siamo ancora in tempo per recuperare - spiega Lorenzo Landi - Sinora abbiamo selezionato poco perché noi italiani siamo partiti in ritardo, non abbiamo tradizione da questo punto di vista”. Il problema di fondo degli autoctoni è quindi legato a doppio nodo alla conoscenza. “Cabernet, Chardonnay, Merlot e altri vitigni internazionali sono studiati da decenni in tutto il mondo – dichiara Luigi Moio - per raggiungere un buon livello di comprensione sul comportamento delle uve tipiche bisogna aspettare e lavorare. Dobbiamo però dire che non siamo all'anno zero, ci sono autoctoni importanti e affermati, penso per esempio all'Aglianico e alla Falanghina, i cui comportamenti ormai sono stati ben sviscerati. Il problema è individuare la caratteristica varietale, quella riconoscibilità sempre uguale nel tempo e nelle aziende che segna così profondamente i vini francesi”.
Un risultato che ha bisogno di tempo a volte di più generazioni e questo evidentemente fa la differenza. Spiega Ferrini: “La nostra viticoltura è ancora giovane, ma ormai ha capito che la strada da seguire è quella della riconoscibilità varietale”. Non è dello stesso parere Angelo Valentini: “Noi italiani dobbiamo soprattutto recuperare la tradizione invece di parlare sempre della Francia. La riconoscibilità sensoriale del vitigno è importante, ma lo è anche recuperare il tempo perduto con l'orgoglio”. “Di fronte ad una situazione del mercato del vino particolarmente delicata difficile fare previsioni - dichiara Ferrini - Ci troviamo invasi dalla formula una bottiglia, un dollaro. Io penso che la ricetta vincente sia migliorare costantemente la qualità del prodotto”. Per Franco Giacosa la soluzione sta nel posizionare i nostri prodotti nei segmenti più alti con vini di territorio e a costi contenuti. “Dobbiamo intrigare il consumatore, comunicare bene, puntare sul costante miglioramento della qualità”.
Un vantaggio competitivo importante sta nel fatto che noi italiani possiamo e dobbiamo sfruttare la ricchezza del nostro territorio, spiega Landi, e in questo particolare momento i vitigni autoctoni possono rappresentare forse l'unica strategia commerciale vincente. Anche per Luigi Moio gli autoctoni possono essere la nuova frontiera. La strada giusta è quella di mettere ogni territorio in condizione di esprimere la sua identità e questo è più facile là dove esistono vitigni autoctoni. Il dibattito, che si è tenuto nei giorni scorsi, ha introdotto con vigore i temi che animeranno “Vitigno Italia”, il salone dei vini da vitigno autoctono e tradizionale italiano che si svolgerà a Napoli dal 3 al 5 giugno prossimo, e che punta sugli oltre 350 vitigni autoctoni come migliori ambasciatori del “made in Italy” del vino all’estero.

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