Le catene agroalimentari di approvvigionamento stanno attraversando un periodo di grande instabilità, segnato da eventi climatici estremi, tensioni geopolitiche, e restrizioni commerciali sempre più frequenti. Questi fattori, combinati tra loro, stanno rendendo le interruzioni nella filiera non solo più assidue, ma anche più complesse da gestire. Secondo uno studio condotto da Shalini Unnikrishnan, ad e partner della società di consulenza globale Boston Consulting Group (Bcg), in collaborazione con la società di consulenza sulle tematiche di sostenibilità ambientale Quantis, pubblicato, nei giorni scorsi, e intitolato “Building Resilience in Agrifood Supply Chains” - “Costruire la resilienza nelle filiere agroalimentari”, entro il 2050 la produzione globale di alcune colture potrebbe diminuire fino al 35%, con una media stimata intorno al 12%.
Un esempio emblematico è quello del cacao in Africa occidentale, spiega lo studio, dove le piogge irregolari e la diffusione di infestazioni come il rigonfiamento dei germogli e la malattia del marciume bruno stanno riducendo drasticamente i raccolti delle piante di cacao, facendo schizzare i prezzi a livelli record, raggiungendo quasi i 13.000 dollari a tonnellata a dicembre 2024, con un aumento del +400% sulla media degli ultimi dieci anni. A rendere ancora più fragile il sistema, spiega ancora lo studio, è la scarsa diversità genetica: colture come la banana Cavendish, che rappresenta il 95% delle banane vendute, sono geneticamente identiche ovunque, e quindi vulnerabili a malattie e parassiti. Ciò implica che una sola infezione può compromettere l’intera produzione globale. Inoltre, molte colture strategiche non beneficiano di sufficienti investimenti in ricerca e sviluppo. Le patate, ad esempio, pur essendo versatili e nutrienti, sono sempre più esposte a siccità e nuove fitopatie, ma non esistono ancora varietà alternative efficaci e produttive su larga scala.
Il 65% della produzione agricola e il 70% dell’apporto calorico mondiale, spiega lo studio, dipendono da sole 15 colture (banane, cacao, caffè, cotone, arachidi, mais, cipolle, olio di palma, patate, riso, soia, barbabietole da zucchero, canna da zucchero, tè, pomodori e grano), aumentando la debolezza di fronte a eventi climatici estremi e crisi geopolitiche. Ad esempio, i volumi di produzione di riso, che costituisce il 22% dell’apporto calorico nel mondo, sono destinati a diminuire del -9% entro il 2050, con i primi cinque produttori che subiranno un calo del -18%; con l’impatto maggiore previsto nei tre Paesi responsabili del 40% della produzione mondiale, ovvero India (-18%), Bangladesh (-15%) e Indonesia (-12%). Il calo, dovuto al cambiamento climatico, avrà inoltre conseguenze dirette sul loro Pil, con i margini per milioni di piccoli agricoltori che rischiano di crollare fino al -40%, afferma la ricerca.
Infine, la società di consulenza globale propone un approccio articolato che parte dalla mappatura dei rischi lungo tutta la filiera, per poi passare alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento, delle colture e dei mercati. Un ruolo chiave è affidato alla tecnologia, con l’uso di modelli predittivi, strumenti di agricoltura di precisione e sistemi di tracciabilità avanzati. Tuttavia, la resilienza non può essere costruita da soli: è necessaria una collaborazione stretta tra aziende, governi e comunità locali. E servono investimenti mirati in infrastrutture più robuste e in pratiche agricole rigenerative, capaci di proteggere il suolo e aumentare la produttività nel lungo periodo.
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